Nati in marzo
Compleanni in punta di penna
1 marzo 1955
CLARA SANCHEZ
Arrivai a Nairobi poco dopo l’alba e, dopo aver sistemato il mio bagaglio ed essermi un po’ riposata al Norfolk – un albergo nostalgico in stile coloniale, arredato con legno, palme e tazze dal bordo dorato sui tavolini –, andai a visitare la famosa fattoria di Karen Blixen sotto un sole splendente. Per ambientarmi, durante il viaggio da Madrid avevo iniziato a leggere La mia Africa, che non assomigliava molto al film con Robert Redford e Meryl Streep, la cui trama si riduceva praticamente a una storia d’amore tra bianchi nella savana. Non mi servì neanche per farmi un’idea di ciò che avrei trovato durante il mio primo giro in città: un keniota disteso all’ombra di un grande albero inclinato e inondato di fiori rossi, torrenti di persone slanciate che camminavano a passo svelto lungo il bordo delle strade e dei campi mentre le rilucenti automobili delle ambasciate, dai numeri di targa cortissimi, sfilavano accanto a loro.
(da: L'amante silenzioso)
3 marzo 1928 - 17 ottobre 2001
FRANCESCO BIAMONTI
Guardava la strada che veniva su al bar e al sentiero della rupe. Aspettava sempre Martine, sperava che lei salisse. Forse quella donna sapeva com’era andata. O no? Nemmeno lei sapeva o immaginava com’era comparsa la «vecchia nutrice» che prende tra le braccia per ricondurli a casa i ragazzi smarriti.
Adesso, pomeriggio, tra le due e le tre, spariti anche i cirri del mattino, il cielo si assottigliava e si alzava, come per prepararsi alla sera. V’erano a volte cieli magri che s’allontanavano.
Nessuno in giro. Solo rondini in volo sul sentiero della rupe, rondini di montagna.
(da: L'angelo di Avrigue)
4 marzo 1950
BEN PASTOR
L’inchiostro nella penna stava finendo. L’ultima pagina che aveva scritto nel diario era di un celeste acquoso; e se fosse riuscito a trovare l’occorrente, Bora avrebbe dovuto riscriverla per renderla leggibile. La carta assorbente serviva appena; la mise come segnalibro fra le pagine e posò il diario sulle ginocchia. Sentì l’aereo sobbalzare fra gli strati di nuvole mentre scendeva. Pigramente la fusoliera incontrava vuoti d’aria e sembrava abbandonarsi, per poi risalire. Ora virava per allinearsi con la pista d’atterraggio, riguadagnando un po’ di altitudine. Poi vennero la vibrazione e il cambiamento nel timbro del motore durante la discesa finale, il breve frastuono del carrello che si abbassava, e l’ultima resistenza del vento. Le ruote toccarono il terreno erboso con un tonfo.
(da: La notte delle stelle)
6 marzo 1927 - 17 aprile 2014
GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ
Molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía avrebbe ricordato quel pomeriggio remoto in cui suo padre l’aveva portato a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di fango e canne costruite sulla riva di un fiume dalle acque diafane che si precipitavano su un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente che molte cose erano senza nome, e per menzionarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, nel mese di marzo, una famiglia di zingari straccioni piantava la tenda vicino al villaggio, e con gran chiasso di fischietti e timbales veniva a far conoscere le nuove invenzioni.
(da: Cent'anni di solitudine)
8 marzo 1923 - 30 settembre 2003
ORESTE DEL BUONO
I guai cominciavano già dal mio nome. Me lo rivelò un giorno mia madre. Forse è il primo ricordo di cui dispongo: ambiguo, per non dire equivoco, come tutti i ricordi che si spingono troppo lontano e pretendono di strappare all'oblio gli sconosciuti che siamo stati. Quanti anni potevo avere? Non tanti, di sicuro. Da contare su una mano. Non mi venne neppure in mente di protestare perché mi avevano dato un simile nome deplorevole. Non mi venne neppure in mente che il nome proprio potesse essere dato dopo la nascita. Non mi venne neppure in mente che non si nascesse marchiati dal nome proprio con tutte le conseguenze del caso. Non mi venne neppure in mente perché non ero neppure consapevole di possedere una mente. Un tale che si chiamava come me aveva, comunque, combinato qualcosa di orribile.
(da: La vita sola)
12 marzo 1863 - 1 marzo 1938
GABRIELE D'ANNUNZIO
Combattevano senza toccarsi ma invasi dallo stesso delirio che agita gli amanti acri d'odio carnale sul letto scosso, quando il desiderio e la distruzione la voluttà e lo strazio sono una sola febbre. Il mondo non fu se non polvere dietro di loro; le forze si alternarono e si confusero. La donna era separata sul suo sedile, né sfiorava pur col gomito il compagno; ma soffriva e gioiva come se i due pugni dominatori non reggessero il cerchio, ben lei tenessero presa per gli omeri squassa ndola. E trasposta era in lui l'illusione medesima, ché egli sentiva sotto le sue mani nella potenza dell'impulso grandeggiare il palpito della creatura agognata. Ed entrambi, come nella mischia ignuda, avevano il viso cocente ma nella schiena il brivido gelido.
(da: Forse che sì, forse che no)
12 marzo 1964
FRANCESCO PICCOLO
La prima volta che mi sono fidanzato, non ero presente. Il momento in cui Federica mi ha detto sí, non l’ho vissuto, ne ho un resoconto frettoloso. Ne so pochissimo perché non c’ero.
Invece, quando mi ha lasciato, c’ero anch’io.
Era una mattina di giugno, la seconda media stava finendo. Ci eravamo fidanzati, a me sembrava piuttosto seriamente, pochi mesi prima (o piú probabilmente poche settimane prima) attraverso l’incontro tra il mio amico fidato e Federica, che era insieme alla sua amica fidata. Si erano parlati, lui aveva fatto per procura la dichiarazione a Federica, rivolgendosi a tutt’e due; e tutt’e due avevano risposto sí, anche se la domanda riguardava solo Federica.
(da: L'animale che mi porto dentro)
13 marzo 1958
GUILLERMO ARRIAGA
Mi svegliai alle sette di sera dopo una lunga siesta. Faceva caldo. Un’estate troppo afosa per una città quasi sempre fredda. La mia stanza era al piano terra. Mio padre l’aveva costruita con assi di truciolato accanto al bagno per gli ospiti. Senza finestre, illuminata da una lampadina nuda appesa a un fil di ferro. Una branda, una piccola scrivania.
Gli altri abitavano al primo piano. Attraverso le pareti spesse soltanto due centimetri potevo sentire il loro andirivieni quotidiano. Le loro voci, i loro passi, i loro silenzi.
(da: Il selvaggio)
17 marzo 1917 - 29 gennaio 1987
CARLO CASSOLA
Era tutto buio. Non si udivano rumori di sorta. “Mio Dio, saranno appena l’una o le due” pensò Anna. Non poteva più pensare a dormire. La sera aveva rifiutato una coperta in più offertale dalla zia, senza considerare che tra Volterra e San Ginesio c’è uno sbalzo di trecento metri. Così, si era svegliata tutta infreddolita. E, a parte il freddo, non aveva più sonno. La mente era lucida e gli occhi si rifiutavano di tornare a chiudersi.
(da: Fausto e Anna)
18 marzo 1842 - 9 settembre 1898
STÉPHANE MALLARMÉ
Introdurmi nella tua storia
Come un eros sbigottito
Se ha col nudo piede toccato
Un po' d'erba del territorio
Contro ghiacciai attentatorio
Io non so l'ingenuo peccato
Che tu avrai impedito
D'alto riso la sua vittoria
Dì se il contento in me è poco
Tuono e rubini alla mia trave
Di veder nell'aria ove sale
Con dispersi reami un fuoco
Morir la ruota sangue e croco
Di mie bighe prece serale
(da: Poesie)
21 marzo 1931 - 1 novembre 2009
ALDA MERINI
Una volta persi una chiave. Avevo tentato di costruirla negli anni, cercando di limarla, di darle una buona doratura e infine di trovarle una toppa.
Eppure, malgrado nel rione ci fossero molte porte, nessuna era adatta alla mia chiave, perché ogni chiave vuole un pertugio e ogni pertugio il suo silenzio.
Visto che ero disperata nell’affannosa ricerca della toppa, alcune comari benevole e dispettose mi misero la chiave al collo e con quel campanaccio legato a mo’ d’infante girovagavo incredula pensando mestamente che non avevo una dimora.
(da: La vita facile. Sillabario)
23 marzo 1913 - 31 dicembre 1986
PIERO CHIARA
Nel tardo pomeriggio di un giorno d'estate del 1946 arrivavo, al timone di una grossa barca a vela, nel porto di Oggebbio sul Lago Maggiore. L'"inverna", il vento che nella buona stagione si alza ogni giorno dalla pianura lombarda e risale il lago per tutta la sua lunghezza, mi aveva sospinto, tra le dodici e le diciotto, non più in su di quel piccolo abitato lacustre, dove decisi di pernottare.
Trovandomi, come quasi sempre, solo a bordo, lavorai una mezz'ora per ormeggiare la barca in buona posizione, incappare le vele e prepararmi la cuccetta per la notte, sempre sotto gli occhi di un signore di mezza età, che fin da quando aveva gettato l'àncora nella melma del porticciolo aveva preso come passatempo lo spettacolo del mio arrivo.
(da: La stanza del vescovo)
24 marzo 1896 - 31 agosto 1974
GIANNA MANZINI
A Firenze, a un cavallo da piazza, non potevano fare attraversare il ponte Santa Trìnita. Giunto a metà, voleva saltare la spalletta e buttarsi di sotto, con la carrozza e tutto. Il vetturino diceva: «Buono, Lillo, buono»; e tentava di trascinarlo per la cavezza. Macché. S'impuntava; schiumava; impazziva. E soltanto su quel ponte. Nessuno sapeva spiegarsi la cosa. Tutto accadde dall'oggi al domani. Ombroso, non era stato mai.
(da: Ritratto in piedi)
25 marzo 1925 - 3 agosto 1964
FLANNERYy O'Connor
Il vecchio Dudley si rannicchiò nella poltrona, che stava a poco a poco prendendo la sua forma, e guardò dalla finestra verso un’altra finestra incorniciata di mattoni rossi anneriti, a cinque metri di distanza. Aspettava il geranio. Lo mettevano fuori tutte le mattine verso le dieci e lo ritiravano alle cinque e mezzo. Giù a casa, la signora Carson aveva un geranio alla finestra. C’erano un sacco di gerani, giù a casa, gerani più belli di quello. I nostri, sì che sono gerani, pensò il vecchio Dudley, non questi aggeggi rosa pallido con i fiocchi di carta verde.
(da: Tutti i racconti)
26 marzo 1943 - 29 maggio 2021
PAOLO MAURENSIG
Non c’era allegata alcuna lettera, né c’era il nome del mittente, o un indirizzo al quale poter risalire. Evidentemente l’autore voleva mantenere l’anonimato. O forse intendeva svelarsi nel prosieguo della lettura.
Il titolo era: Il diavolo nel cassetto, e iniziava così:
«Tremo al solo pensiero di aver steso sulla carta questa storia. Per lungo tempo l’ho trattenuta dentro di me, ma alla fine ho dovuto liberarmi da un peso che rischiava di compromettere il mio equilibrio mentale. Perché di certo è una storia condotta sull’orlo della follia. Eppure l’ho ascoltata fino in fondo, senza mai dubitare delle parole di quell’uomo. Tanto più che a parlare era un sacerdote».
(da: Il diavolo nel cassetto)
27 marzo 1871 - 11 marzo 1950
HEINRICH MANN
Dato che si chiamava Raat, in tutta la scuola lo chiamavano Unrat, ovvero Spazzatura.1 Niente di più spontaneo e di più naturale. Gli altri professori, di tanto in tanto, vedevano mutare il proprio nomignolo: arrivava nella classe un nuovo scaglione di allievi, si accaniva sadicamente a scoprire in questo o quel docente qualche lato comico non ancora sufficientemente messo in risalto dallo scaglione precedente, e gli affibbiava senza pietà un inedito nomignolo. Il suo, invece, Unrat ce l’aveva da parecchie generazioni; era ormai familiare all’intera città; i suoi colleghi lo usavano non solo fuori del Liceo, ma anche dentro, non appena lui voltava le spalle.
(da: Il professor Unrat)
28 marzo 1936
MARIO VARGAS LLOSA
Premio Nobel per la letteratura 2010
Ero andato a Firenze per dimenticare un poco il Perù e i peruviani ed ecco che lo sciagurato paese mi ha sbarrato il passo questa mattina nel modo più inatteso. Avevo visitato la ricostruita casa di Dante, la chiesetta di San Martino del Vescovo e la viuzza dove la leggenda vuole che quegli vide per la prima volta Beatrice, quando, in via Santa Margherita, una vetrina mi bloccò di netto: archi, frecce, un remo inciso, un orciolo con disegni geometrici e un manichino insaccato in una cushma di cotone selvatico.
(da: Il narratore ambulante)
29 marzo 1954
ALESSANDRO TAMBURINI
Ogni piccolo centro del nord passata la mezzanotte sembra una città fantasma, ma quello li superava tutti. Segnato da rari lumi di lampioni ondeggianti sui fili, il paesaggio che lui si trovò davanti subito fuori dalla stazione comprendeva da un lato un piazzale recintato, con alcuni vecchi locomotori abbandonati in una ragnatela di binari, e dall'altro, costruito a ridosso della montagna, un abitato simile ai quartieri dormitorio sorti alla periferia delle grandi città: edifici uguali e squadrati, di quattro o cinque piani, file di balconi con le ringhiere di ferro, e non una tenda, non un fregio o una pianta ad animare la geometria grigia e squadrata delle facciate. Il tutto immerso in un silenzio che si sarebbe detto definitivo.
(da: Uno sconosciuto alla porta)
30 marzo 1895 - 9 ottobre 1970
JEAN GIONO
L’alba sorprese Angelo beato e muto, ma sveglio. L’altezza della collina lo aveva preservato dalla poca rugiada che cade in quei paesi, d’estate. Strigliò il cavallo con una manciata d’erica e arrotolò il portamantelli.
Nella conca in cui scese, gli uccelli si svegliavano. Non faceva fresco neppure in fondo, dove ristagnava ancora il buio della notte. Il cielo era interamente rischiarato da bagliori di luce grigia. Emerse infine dai boschi un sole rosso, tutto schiacciato da lunghi filamenti di nuvole scure.
(da: L'ussaro sul tetto)
31 marzo 1955
JACOPO FO
Le parole mi affascinano. So che quello che sto per fare non è un discorso molto ragionevole, ma ho una passione per i doppi sensi e le parole mancanti.
Mi chiedo, ad esempio, se sia davvero un caso che la mente umana si chiami appunto mente, che è anche una voce del verbo mentire. Vuol dire che la mente mente? Io credo che sia una corrispondenza simbolica e che per vivere meglio sia necessario rendersi conto delle trappole mentali.
(da: Superman si è schiantato)
1 marzo 1972
FABIO GEDA
Il fatto, ecco, il fatto è che non me l'aspettavo che lei andasse via davvero. Non è che a dieci anni, addormentandoti la sera, una sera come tante, né più oscura, né più stellata, né più silenziosa o puzzolente di altre, con i canti dei muezzin, gli stessi di sempre, gli stessi ovunque a chiamare la preghiera dalla punta dei minareti, non è che a dieci anni - e dico dieci tanto per dire, perché non è che so con certezza quando sono nato, non c'è anagrafe o altro nella provincia di Ghazni - dicevo, non è che a dieci anni, anche se tua madre, prima di addormentarti, ti ha preso la testa e se l'è stretta al petto per un tempo lungo, più lungo del solito, e ha detto: Tre cose non devi mai fare nella vita, Enaiat jan, per nessun motivo. La prima è usare le droghe. Ce ne sono che hanno un odore e un sapore buono e ti sussurrano alle orecchie che sapranno farti stare meglio di come tu potrai mai stare senza di loro. Non credergli. Promettimi che non lo farai.
(da: Nel mare ci sono i coccodrilli)
4 marzo 1916 - 13 aprile 2000
GIORGIO BASSANI
Il tempo ha cominciato a diradarli, eppure non si può ancora dire che siano pochi, a Ferrara, quelli che ricordano il dottor Fadigati (Athos Fadigati, sicuro – rievocano –, l’otorinolaringoiatra che aveva studio e casa in via Gorgadello, a due passi da piazza delle Erbe, e che è finito così male, poveruomo, così tragicamente, proprio lui che da giovane, quando venne a stabilirsi nella nostra città dalla nativa Venezia, era parso destinato alla più regolare, più tranquilla, e per ciò stesso più invidiabile delle carriere...).
(da: Gli occhiali d'oro)
4 marzo 1965
KHALED HOSSEINI
Allora, se volete una storia ve la racconto. Ma una sola. Non chiedetemene poi un’altra, né tu né lui. È tardi e poi, Pari, noi due abbiamo davanti una lunga giornata di viaggio. Bisogna che tu faccia un buon sonno. E anche tu, Abdullah. Conto su di te, figliolo, mentre tua sorella e io siamo via. Anche tua madre fa affidamento su di te. Una storia sola, dunque. Ascoltate, voi due, ascoltate bene e non interrompete.
C’era una volta, quando i div, i jinn e i giganti vagavano per la terra, un contadino di nome Baba Ayub. Viveva con la sua famiglia in un piccolo villaggio che si chiamava Maidan Sabz. Poiché aveva una famiglia numerosa da sfamare, Baba Ayub passava le giornate consumandosi di duro lavoro.
(da: E l'eco rispose)
7 marzo 1785 - 22 maggio 1873
ALESSANDRO MANZONI
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
(da: I promessi sposi)
9 marzo 1883 - 25 agosto 1957
UMBERTO SABA
FANCIULLE
Maria ti guarda con gli occhi un poco
come Venere loschi.
Cielo par che s'infoschi
quello sguardo, il suo accento è quasi roco.
Non è bella, né in donna ha quei gentili
atti, cari agli umani;
belle ha solo le mani,
mani da baci, mani signorili.
Dove veste, sue vesti son richiami
per il maschio, un'asprezza
strana di tinte. È mezza
bambina e mezza bestia. Eppure l'ami.
Sai ch'è ladra e bugiarda, una nemica
dei tuoi intimi pregi;
ma quanto più la spregi
più la vorresti alle tue voglie amica.
(da: Canzoniere)
11 marzo 1952 - 11 maggio 2001
DOUGLAS ADAMS
La casa sorgeva su un lieve rialzo, proprio all’estremo limite del paese. Era isolata, e dava su un’ampia distesa agricola nell’Inghilterra sudoccidentale.
Era una casa di nessun conto: aveva circa trent’anni, era di mattoni, quadrata, bassa, con quattro finestre sul davanti la cui grandezza e proporzione non erano proprio studiate per piacere all’occhio. L’unica persona che considerava speciale quella casa era Arthur Dent, e per un semplice motivo: che guarda caso era lì che abitava. Ci abitava da circa tre anni, fin da quando, cioè, vi si era trasferito da Londra, città che lo rendeva nervoso e irritabile.
(da: Guida galattica per gli autostoppisti)
12 marzo 1922 - 21 ottobre 1969
JACK KEROUAC
Saltando su un treno merci in corsa appena fuori Los Angeles a mezzogiorno d’una giornata di fine settembre del 1955 atterrai su un pianale e mi sdraiai infilandomi la sacca sotto la testa e accavallando le gambe e contemplai le nuvole mentre il treno rotolava verso nord in direzione di Santa Barbara. Quello era un locale e io progettavo di dormire sulla spiaggia di Santa Barbara quella notte e acchiappare la mattina dopo il primo locale di passaggio fino a San Luis Obispo oppure il merci espresso delle sette di sera diretto fino a San Francisco.
(da: I vagabondi del Dharma)
12 marzo 1970
DAVE EGGERS
Alan Clay si svegliò a Gedda, in Arabia Saudita. Era il 30 maggio 2010. Aveva passato due giorni in aereo per andarci.
A Nairobi aveva incontrato una donna. Sedevano vicini, aspettando i loro voli. Era alta, ben fatta, con minuscoli orecchini d’oro. Aveva un colorito acceso e una voce melodiosa. Alan scoprì che gli piaceva più delle molte persone che facevano parte della sua vita, persone che vedeva tutti i giorni. Gli disse che abitava nella zona settentrionale dello Stato di New York. Non molto lontano dalla casa di Alan nella Boston dei sobborghi.
Se avesse avuto un po’ di coraggio avrebbe trovato il modo di trascorrere più tempo con lei. Invece salì sul suo aereo e volò a Riad, poi a Gedda. Un uomo venne a prenderlo all’aeroporto e lo portò all’Hilton.
(da: Ologramma per il re)
17 marzo 1926 - 7 ottobre 2014
SIEGFRIED LENZ
Nessuno venne ad aprire la porta.
Proska bussò di nuovo, piú forte, piú deciso, con il fiato sospeso. Attese, chinò il capo e guardò la lettera che teneva in mano. Nella toppa c’era una chiave; in casa doveva esserci qualcuno. Eppure non apriva.
Si staccò lento dalla porta e azzardò uno sguardo dentro una finestra mezzo oscurata. Il sole gli picchiava mica male sulla nuca, ma non gli importava. A un tratto le ginocchia di Proska, le ginocchia di un vigoroso assistente militare di trentacinque anni, presero a tremare. Spalancò la bocca, un sottile filo di saliva restò attaccato fra le labbra.
(da: Il disertore)
18 marzo 1929 - 1 dicembre 2011
CHRISTA WOLF
La città, poco prima dell’autunno immersa ancora nella calura dopo la fresca estate piovigginosa di quell’anno, respirava con più veemenza del solito. Il suo respiro si effondeva in fumo denso su da cento ciminiere di fabbriche nel cielo terso, ma poi gli mancava la forza di proseguire. La gente, da tempo avvezza a quel cielo velato, lo trovava improvvisamente insolito e difficile da sopportare, sfogando la subitanea irrequietezza anche sulle cose più remote. L’aria la opprimeva, e l’acqua – quell’acqua maledetta che puzzava di residui chimici da tempo immemorabile – aveva un sapore amaro.
Ma la Terra la reggeva ancora, quella gente, e finché ce n’era l’avrebbe fatto.
(da: Il cielo diviso)
22 marzo 1939
ANNA MARIA CARPI
UN FATO un’ossessione
un’infinita stupidità mi persegue.
So dov’è nata: nelle notti insonni
di mia madre nel letto solitario,
da mio padre che dorme nella stanza in fondo,
dorme profondo, anche se il mondo ha detto
ma tu chi sei.
La luce condominiale dalle scale
veglia le notti. E rannicchiata dorme
nel letto con sua madre la piccola obbediente.
Mai sarà altro, mai di più che questo,
soltanto brava, brava e diligente.
Ma non lo sa e sogna
l’amore: di nessuno,
solo quello del mondo.
(da: L'asso nella neve)
23 marzo 1956
JULIA GLASS
Alla soglia dei quarant’anni, Alan aveva raggiunto secondo Greenie quella fase della vita che poteva essere riassunta con la domanda «Tutto qui?». Greenie non sapeva cosa fare. Avrebbe affrontato il problema di petto, se a soffrirne fosse stata una sua amica, ma Alan era un uomo, cronicamente allergico a consigli e suggerimenti. Quando il marito era con gli amici, la sua forza risiedeva proprio nella capacità di ragionare e argomentare, nel suo modo di sfidare il mondo e il suo compiacimento, eppure in privato – da solo con Greenie – restava sulla difensiva e si faceva prendere da un cupo nichilismo.
(da: I dolci ingredienti del destino)
24 marzo 1951
ELIANA BOUCHARD
Le mani dell’uomo scivolano sul tessuto dei pantaloni distesi sul bancone del negozio. Il palmo aperto accarezza la trama per saggiarne la consistenza, e in quel contatto si consuma un piacere profondo che la commessa non può fare a meno di notare. Lo straniero è nella boutique da circa mezz’ora, forse attratto dall’insegna che reclamizza la vendita, per pochi quattrini, di capi d’abbigliamento usati, lavati, stirati e infine disposti sugli espositori, distribuiti nell’ampio salone fino a formare un labirinto di stoffa.
(da: La boutique)
25 marzo 1973
DONATO CARRISI
Mentre per la maggioranza dell’umanità quel 23 febbraio era solo un mattino come un altro, per Samantha Andretti poteva essere l’inizio del giorno più importante della sua giovane vita.
Tony Baretta aveva chiesto di parlarle.
Sam si era rigirata nel letto per tutta la notte come l’indemoniata di alcuni film dell’orrore, provando a ipotizzare i motivi che spingevano uno dei ragazzi più carini della scuola – e del creato – a voler scambiare frasi di senso compiuto proprio con lei.
(da: L'uomo del labirinto)
26 marzo 1949
PATRICK SÜSKIND
NEL diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc., oggi è caduto nell’oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.
Al tempo di cui parliamo, nella città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni.
(da: Il profumo)
27 marzo 1944 - 6 luglio 2015
FRANCO SCAGLIA
Quella mattina fu il silenzio a svegliare Maria. Di solito ad aprirle gli occhi intorno alle sette e un quarto del mattino, era un rumore. Una voce anche se attutita dal vetro della finestra e dalle persiane di abete, che poteva provenire dalla piazza sulla quale dava la sua camera o da un appartamento vicino, o da una porta che sbatteva, o dal tranvai il cui capolinea si trovava a pochi metri dal portone, in piazza Castello. Lei era convinta, e questo la rassicurava, che fossero i rumori stessi a decidere in rapido concilio quale di loro dovesse assumersi l'onere di annunciare che la giornata aveva inizio.
(da: Il custode dell'acqua)
28 marzo 1951
ROBERTO TIRABOSCHI
La pelle aveva mantenuto una delicata sfumatura ambrata che non ricordava per nulla la livida immagine della morte. I lineamenti del volto conservavano intatta la loro vitalità: le labbra carnose, la rotondità delle gote, la delicatezza dei lobi, la massa dei capelli appena dilavati in una tonalità cinerina. Persino i seni, colmi, il ventre rotondo, le natiche, le cosce, anche se mezze sommerse, davano l’impressione di essere sodi come quelli di una fanciulla in fiore. Solo gli occhi, che si intravedevano sotto le palpebre semiaperte, avevano perso la lucentezza originaria, offuscati da un velo opaco e malinconico.
(da: La bottega dello speziale)
29 marzo 1960
JO NESBØ
Un minuto e tre secondi. La rapina era finita. I soldi erano nello zaino al centro del pavimento. Ancora alcuni secondi e la prima auto della polizia sarebbe arrivata. Ancora quattro minuti e altre auto della polizia avrebbero bloccato le vie di fuga più vicine al luogo della rapina. Tutte le cellule del corpo del rapinatore dovevano urlare che era arrivato il momento di uscire da lì. E allora successe qualcosa che Harry non riuscì a capire. Non aveva alcun senso. Invece di fuggire subito, il rapinatore girò la sedia di Stine in modo da essere faccia a faccia con lei. Si chinò e mormorò qualcosa. Harry strizzò gli occhi. Doveva andare al più presto a farsi controllare la vista. Ma vide quello che vide.
(da: Nemesi)
30 marzo 1940
UWE TIMM
Io ero quel che allora si diceva un cocco di mamma. Mi piaceva il profumo delle donne, quell’odore di sapone e di profumo, mi piaceva e cercavo – una sensazione precoce – la morbidezza dei seni e delle cosce. Lui invece, il fratello grande, già da ragazzino stava sempre attaccato al padre. E poi c’era la sorella, due anni più grande di lui, diciott’anni più di me, che dal padre riceveva poca attenzione, si può dire che la ignorasse, tanto da sviluppare per questo una certa scontrosità e ruvidezza che nostro padre a sua volta definiva musoneria e che gliela allontanò ancora di più.
(da: Come mio fratello)
2 marzo 1942
JOHN IRVING
Erano i nani, di solito, a costringerlo a tornare: a tornare al circo e a tornare in India. Al dottore era ben nota quella sensazione di lasciare Bombay "per l’ultima volta"; infatti, quasi sempre, al momento di ripartire dall’India giurava di non farvi più ritorno. Poi passavano gli anni – di regola, non più di quattro o cinque – ed eccolo di nuovo affrontare il lungo viaggio da Toronto a Bombay. Era nato a Bombay, ma non era questo il motivo per cui tornava: così almeno asseriva. Sia la madre sia il padre erano morti; sua sorella viveva a Londra, il fratello a Zurigo. Sua moglie era austriaca. Le loro figlie e nipoti vivevano in Inghilterra e in Canada. Nessuno di loro desiderava vivere in India – dove si recavano in visita assai di rado – e nessuno di loro c’era nato. Ma era destino che il dottore tornasse a Bombay; e avrebbe continuato a tornarci, se non per sempre, almeno fin quando vi sarebbero stati dei nani da circo.
(da: Figlio del circo)
4 marzo 1948
JAMES ELLROY
La trovarono dei ragazzini.
Militavano nella Babe Ruth League e stavano andando al campo per fare quattro tiri. Dietro di loro camminavano tre allenatori, adulti.
Gli adulti notarono alcune perle sparse sull’asfalto. I ragazzini videro una sagoma nella striscia di vegetazione poco oltre il cordolo. Un piccolo fremito telepatico serpeggiò nel gruppo.
Clyde Warner e Dick Ginnold richiamarono indietro i ragazzini – per impedir loro di vedere da vicino. Kendall Nungesser adocchiò una cabina telefonica sull’altro lato della Tyler, accanto al chiosco dei gelati, e vi si diresse di corsa.
(da: I miei luoghi oscuri)
5 marzo 1922 - 2 novembre 1975
PIER PAOLO PASOLINI
Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare. Con una compagnia di maschi uguali a lui, tutti vestiti di bianco, scese giù alla chiesa della Divina Provvidenza, dove alle nove Don Pizzuto gli fece la comunione e alle undici il Vescovo lo cresimò. Il Riccetto però aveva una gran prescia di tagliare: da Monteverde giù alla stazione di Trastevere non si sentiva che un solo continuo rumore di macchine.
(da: Ragazzi di vita)
7 marzo 1856 - 25 luglio 1927
MATILDE SERAO
Quest'altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il Governo, chi lo deve conoscere? E se non servono a dirvi tutto, a che sono buoni tutti questi impiegati alti e bassi, a che questo immenso ingranaggio burocratico che ci costa tanto? E, se voi non siete la intelligenza suprema del paese che tutto conosce e a tutto provvede, perchè siete ministro?
(da: Il ventre di Napoli)
8 marzo 1960
JEFFREY EUGENIDES
Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell’agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan. Non è impossibile che un lettore specializzato abbia letto notizie sul mio conto nello studio del dottor Peter Luce, Gender Identity in 5-Alpha-Reductase Pseudohermaphrodites pubblicato nel 1975 dal “Journal of Pediatric Endocrinology”. Oppure potreste aver visto la mia fotografia pubblicata nel capitolo sedici di Genetics and Heredity, un testo ormai tristemente obsoleto. Sono io la ragazza nuda in piedi accanto a un’asta graduata per misurare l’altezza a pagina 578, gli occhi nascosti da una striscia nera.
(da: Middlesex)
12 marzo 1934
LORIANO MACCHIAVELLI
L’hanno costruito in posizione strategica, su una collina a 250 metri sul livello del mare, sud della città. Dominava e controllava il traffico nello stretto di Messina.
Forte Petrazza.
È su due piani collegati da una rampa, nel piazzale d’ingresso. Vista dal mare, la struttura grigia e massiccia incuteva un certo rispetto. Forse per i quattro cannoni e i sei obici che spuntavano dalle mura. E per le numerose feritoie dalle quali potevano scaraventare in mare chissà quali ordigni.
Chi entrava e usciva dallo stretto passava sotto la sua minaccia. Un tempo, alla fine dell’Ottocento, era cosí. Nel 1980, era lo stesso, solo che gli obici non c’erano piú.
(da: Noi che gridammo al vento)
12 marzo 1970
GIORGIO VASTA
La casa è vuota, mio padre e mia madre sono ancora in vacanza. Al semibuio individuo le levette del quadro elettrico, le porto in alto e poi accendo le luci. Raggiungo quella che era la mia camera, sollevo la serranda e svuoto lo zaino. Per praticità e per pigrizia non sistemo niente nei cassetti ma lascio biancheria e magliette sopra la scrivania. In cucina metto un paio di bottiglie d’acqua nel frigo, cerco da qualche parte qualcosa da mangiare. Trovo solo vecchi biscotti col sesamo e li lascio dove sono. Torno in camera, mi distendo sul materasso nudo e guardo la televisione. Repliche e repliche di repliche, un montaggio di frammenti televisivi provenienti da epoche diverse – un po’ di bianco e nero, la metamorfosi del colore tra anni Ottanta e Novanta, le facce scomparse e quelle eterne.
(da: Spaesamento)
16 marzo 1920 - 21 marzo 2012
TONINO GUERRA
Sono diventato uno di quei poveracci che vivono frugando nelle montagne di rifiuti alla ricerca di qualcosa di necessario. Da alcuni anni ascolto uomini senza cultura ma guidati da una forza animale per sopravvivere. È soltanto questa gente sottomessa anche al vento che può darmi un segno dell’infanzia del mondo.
(da: Polvere di sole)
17 marzo 1968
MAXENCE FERMINE
Chinato sulla mia ultima creazione, riflettevo, turbato nel profondo, sull’accordo con l’editore. Continuavo a pensare alle parole di Justin Balmat, che mi risuonavano in testa con una forza inaudita. Un manoscritto inedito, la firma col sangue e la promessa di diventare un giorno il proprietario di un’antica dimora. Tutto ciò mi entusiasmava. Eppure, una parte di me mi spingeva a diffidare di quella storia assurda. Era legale? Balmat non era certo uno stinco di santo, per non parlare di mio padre. Se avessi potuto, avrei rifiutato senza riserve e mi sarei scordato dell’intera faccenda. Ma sapevo che ormai era troppo tardi.
(da: Il palazzo delle ombre)
19 marzo 1933 - 22 maggio 2018
PHILIP ROTH
Non mi ero reso conto di essere diventato così noto da poter essere irrilevante. Come posso da qui accertarmi dello stato della reputazione del mio pseudonimo o del mio vero io? Insegno anche letteratura inglese e americana all'università cittadina, agli studenti più docili e rispettosi che mi sia mai trovato davanti. All'U. di C. non era certo così. Guadagno un po' di soldi extra, molto pochi, leggendo romanzi americani per una casa editrice italiana e dicendo loro cosa ne penso; in tal modo posso mantenermi al corrente degli ultimi sviluppi in campo narrativo.
(da: La mia vita di uomo)
22 marzo 1940
MARGHERITA OGGERO
Era il giugno del 1948: il clima politico arroventato, le ferite della guerra non ancora rimarginate, il piano Marshall ai suoi inizi, l’indigenza diffusa. I pacchi dono dell’UNRRA rivelavano paradisi sconosciuti (farina d’uova, latte condensato, sigarette americane) insieme con scampoli trapezoidali di tessuti sintetici, pelli mal conciate, medicinali di cui i destinatari non erano in grado di leggere le istruzioni. Ma a riceverli erano in pochi, il grosso finiva in mano non tanto di piccoli malavitosi borsaneristi, quanto della criminalità organizzata, la cui esistenza sarebbe stata negata dalle piú alte cariche dello Stato per i decenni a venire.
(da: Non fa niente)
23 marzo 1967
NICOLETTA BORTOLOTTI
Avevo nove anni quando ci siamo trasferiti a Lugano.
Papà, ingegnere edile, aveva finito di lavorare alla galleria e non c’era più ragione perché noi continuassimo a vivere in un insulso paese di montagna, che si animava solo pochi mesi l’anno grazie al turismo invernale.
Nove anni.
È un’età sbilenca, in cui non si sa se credere alle fedi che rassicuravano un tempo. Fluttuavo in quella terra di nessuno tra favole e realtà, tra Dio, Babbo Natale e il Big Bang. Quando abbiamo cambiato casa è stato come traslocare in un’altra esistenza. Non appartenevo più al vecchio mondo e non ero ancora approdata a quello nuovo. Ho messo la mia vita in pausa.
(da: Chiamami sottovoce)
25 marzo 1842 - 7 marzo 1911
ANTONIO FOGAZZARO
Pareva guardare l'oscuro bosco di castagni, a levante della villa, oltre il borro dove un'acquicella querula scende dal piccolo lago nascosto, più su, dietro un giro di erbosi dorsi, cinto alla grande, severa montagna di Priaforà. Tendeva in fatto l'orecchio a un remoto fragore che cresceva e mancava collo spirare del vento: al fragore di un treno ancora lontano, in corsa verso quella conca della Val d'Astico che la villa signoreggia. Intanto si sgualciva lentamente una lettera nella mano inquieta. Alla chiamata del domestico si voltò di soprassalto, stringendosi la lettera nel pugno.
(da: Leila)
26 marzo 1942
ERICA JONG
Ho già, in altri documenti, lasciato a questa eccellente Giovinetta le mie case, i miei poderi, i miei gioielli, la cura dei miei cani, dei miei cavalli e animali domestici, e purtuttavia sono convinta che la presente Storia avrà per lei maggior valore che non abbiano tutte le ricchezze da me in vita accumulate, sia mediante la mia penna, sia mediante la persona mia. Ché, se non è facil cosa nascer Uomo, in questa valle di lagrime, ancor più difficile assai è nascervi Donna.
(da: Fanny)
27 marzo 1849 - 17 novembre 1910
CARLO DOSSI
Ma, fóglie e frasche: lasciando dir tutti filosoficamente ronfavo. A che buono scaldarmi? Senza il mio visto, già, i grandi lor piani potevan servire a stoppar buchi da toppe. Dunque, se ben volentieri accettavo ogni presente dalla parentería, sbudellando i bussolotti di babbo, rompendo gli schioppetti di mamma, fondendo le croci, i véscovi di peltro ed altri utensili da altarino di zío, quanto a digerire un consíglio, a elèggere una strada, oh! non mi si trovava mai a tempo.
E sì che il brodo in cui mi cuocevo era il sciocchíssimo. Stringévami una tale ripugnanza per tutto ciò che usciva dalle botteghe del librajo e del cartaro, una tanta paura che, al muoversi di qualche página, allo stridere di una penna, davo una giravolta e via.
(da: L'altrieri)
28 marzo 1868 - 18 giugno 1936
MAKSIM GOR'KIJ
Una volta, vedendo che le contadine in pellegrinaggio si sfregavano delicatamente le gambe affaticate con l’ortica, provò anche lui a strofinarsi i fianchi percossi da Jakov e gli parve che l’ortica lenisse notevolmente il dolore. Da quel giorno, dopo le botte, disinfettava sempre le parti livide con le foglie lanuginose della pianta malvagia che tutti odiavano.
Studiava con scarso profitto, arrivava a scuola pieno di paura che lo picchiassero e ne usciva maltrattato e rancoroso. Il suo terrore di essere trattato male era talmente evidente che suscitava in tutti l’irrefrenabile desiderio di prenderlo a cazzotti.
(da: Storia di un uomo inutile)
29 marzo 1924 - 25 luglio 2002
OTTIERO OTTIERI
Sono entrato per la prima volta, all’improvviso, nel laboratorio psicotecnico.
C’erano i candidati, seduti ai banchi, e hanno alzato il capo dai fogli dei test per osservarmi. Eccone un altro, pensavano, il nuovo, l’ultimo venuto. Che tipo è? Porta bene o male? Lo sanno che il nuovo impiegato arriva sul loro destino. Una luce forte fluiva dalle due pareti di vetro, d’angolo, ma subito mi sono tolto gli occhiali neri; tuttavia mi sono comportato freddamente, da funzionario indecifrabile senza guardare in faccia nessuno. Infatti non ho veduto nessuno. Ho salutato la signorina S., la mia collega, e mi sono dato a sfogliare le pratiche dei candidati sul tavolo accanto alla lavagna.
(da: Donnarumma all'assalto)
29 marzo 1975
PAOLO ROVERSI
Al collegio minorile, a far compagnia a Vandelli, c’è un altro ligera del Giambellino, Nicola Pinto, il figlio del calzolaio. Un anno in più e l’esperienza di come gira il mondo lì dentro. È il suo terzo turno al Becca e, conoscendolo un minimo, si può star certi che non sarà l’ultimo. O forse sì, visto che fra pochi mesi diventerà maggiorenne e quindi la prossima destinazione per lui sarà il Due, San Vittore.
Con Roberto si conoscono da anni: hanno giocato mille volte insieme alla lippa o a farsi trascinare dai tram con il carrellotto, un’evoluzione tutta milanese del monopattino. In un paio d’occasioni sono perfino stati soci in qualche scucio.
(da: Milano criminale)
30 marzo 1952
GIUSEPPE MARCENARO
Rovesciava su tutto una frenetica e illeggibile grafia. Sulla carta, sui polsi delle camicie, sul gilè, sulle bretelle larghe quattro dita. A noi è arrivata una scatoletta per la cipria, in legno di pero, un oggetto minimo che stava sul suo tavolo al consolato di Civitavecchia. È tappezzata di rabeschi. Compiaceva, naturalmente con la scrittura, gli spazi bianchi dei libri. I volumi della sua biblioteca, almeno quelli rimasti, conservati in diversi luoghi – Milano, Roma, Parigi – sono coperti dall’esagitata acribia di un calligrafo alla terza pinta di rhum. La grafia si dissipa ossessivamente per le pagine. Queste schegge d’autore sono celebrate con il nome di marginalia.
(da: Scarti)