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La nostra selezione

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DANTE

Alessandro Barbero

Un uomo del Medioevo, immerso nel suo tempo. Questo il Dante che ci racconta un grande storico in pagine di vivida bellezza. Dante è l'uomo su cui, per la fama che lo accompagnava già in vita, sappiamo forse più cose che su qualunque altro uomo di quell'epoca, e che ci ha lasciato la sua testimonianza personale su cosa significava, allora, essere un giovane uomo innamorato o cosa si provava quando si saliva a cavallo per andare in battaglia. Alessandro Barbero segue Dante nella sua adolescenza di figlio d'un usuraio che sogna di appartenere al mondo dei nobili e dei letterati; nei corridoi oscuri della politica, dove gli ideali si infrangono davanti alla realtà meschina degli odi di partito e della corruzione dilagante; nei vagabondaggi dell'esiliato che scopre l'incredibile varietà dell'Italia del Trecento, fra metropoli commerciali e corti cavalleresche. Il libro affronta anche le lacune e i silenzi che rendono incerta la ricostruzione di interi periodi della vita di Dante, presentando gli argomenti pro e contro le diverse ipotesi e permettendo a chi legge di farsi una propria idea, come quando il lettore di un romanzo giallo è invitato a gareggiare con il detectivee arrivare per proprio conto a una conclusione.

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ERA ANDATA A FINIRE COSÌ

Maddalena Vianello

Francesca è poco più di una bambina, ma porta il segno dell'eccezione. È dotata di un'intelligenza luminosa ed è sorprendente negli studi. Ama leggere, nonostante in casa le uniche pagine a disposizione siano quelle dei cataloghi per le vendite a distanza. La sua è una famiglia dei Quartieri, umile e numerosa, in cui nessuno ha mai supposto che i figli potessero desiderare qualcosa di diverso, tanto meno una figlia femmina. È legata a un fratello gemello, l'oscuro Andrea che con lei non ha nulla a che spartire. Solo nonna Rosa rappresenta un porto, l'unica che la capisce e la difende: "Sei la mia bambola d'oro, non ti devi scordare mai", le sussurra al momento dell'addio, quando il padre costringe l'intera famiglia a emigrare al Nord. Ad aleggiare sul Golfo, infatti, sono la crisi e la morte che il lavoro nelle industrie ha lasciato agli operai. Ma il trasferimento in Emilia non è la favola che il padre e tutti gli altri raccontano, e la prima a dover affrontare enormi rinunce sarà proprio Francesca, combattiva e sognatrice, sequestrata da una madre ignorante e tiranna. Sullo sfondo di una Napoli che si estende meravigliosa e misera e quello fosco della pianura Padana Era andata a finire così racconta la storia di una giovane donna fra cadute e rinascite, amori spezzati e lotta politica accanto alle compagne di fabbrica. Una storia capace di restituire voce a persone e questioni che troppo spesso rimangono nelle pieghe del racconto collettivo.

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DECADENZA E FASCISMO

Eva Baltasar

Barcellona è sanguinaria, fabbrica persone solitarie e le obbliga a convivere, non permette di stare da soli e nemmeno di formare una famiglia. È inospitale, claustrofobica, ha poche reti di solidarietà. La donna senza nome protagonista di Decadenza è laureata in pedagogia ma è costretta a pulire le case per sopravvivere: l'impiego in una ludoteca, infatti, non le permette di mantenersi. Poi un giorno perde anche il lavoro da domestica, e, scacciata violentemente da casa dai proprietari, si rende conto di essere condannata a vivere per strada. Consapevole del degrado che la vita all'aperto comporta, non si lascia andare, non si arrende al destino. Un'amica le viene in soccorso, di tanto in tanto la ospita o le dà da mangiare ma non potrà certo impedirle di scivolare in una febbre onirica di desiderio e illusione. Chissà che la follia non sia l'unica via d'uscita dal soffocamento di una società piegata al capitalismo selvaggio. Ed è per questo che in Fascino accade qualcosa di inusuale e forse magico, qualcosa che potrà davvero salvarla. Un romanzo lirico, raffinato, contemplativo, da leggere e ripetere come un mantra.

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LA CINA HA VINTO

Alessandro Aresu

L’Occidente è ossessionato dalla Cina, spesso però la osserva con miopia o secondo schemi interpretativi inadeguati. Alessandro Aresu – una delle voci più lucide del dibattito geopolitico italiano – rilegge la sfida cinese non come uno scontro ideologico tra democrazia e autoritarismo, ma come un conflitto sistemico tra modelli di potenza. "La Cina ha vinto" non è un’affermazione retorica, è una provocazione metodica: per capire dove stiamo andando bisogna decifrare il pensiero strategico cinese, le sue origini storiche, le sue logiche industriali, i suoi strumenti di influenza globale, le sue contraddizioni. Alessandro Aresu ci indica le traiettorie della tecnopolitica di Pechino, raccontando con chiarezza le trasformazioni dei rapporti tra Partito, capitale, sapere tecnico e ambizioni globali. Dalle radici confuciane all’intelligenza artificiale, dall’enorme vantaggio sul talento alla superiorità produttiva, Aresu ci restituisce un quadro che va oltre la narrazione dominante sull’“impero del controllo”. È la storia di un potere politico curioso del suo avversario e consapevole della propria forza. In queste pagine il lettore è chiamato a riflettere su quale mondo ci stiamo preparando ad abitare: uno in cui la vittoria o la sconfitta dell’Occidente non dipenderanno solo dalla Cina, ma anche dalla nostra capacità di capirla, senza illusioni e senza ipocrisie. Mentre l’Occidente si perde tra illusioni e profezie sbagliate, la Cina conquista il futuro. Qual è la lezione storica della sua vittoria? Cosa può significare?

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VECCHIO BLOOMSBURY

Virginia Woolf

In seno al Bloomsbury Group – il circolo di intellettuali, scrittori e artisti che si era costituito nei primi anni del Novecento e che aveva tra i suoi protagonisti Virginia Woolf – il Memoir Club, che venne inaugurato nel marzo del 1920, aveva in primo luogo lo scopo di riunire i membri del gruppo, dopo la dispersione dovuta ai drammatici effetti della Prima guerra mondiale. Protagonisti di questi raduni erano dunque gli stessi rappresentanti del Bloomsbury: oltre a Virginia Woolf, il marito Leonard, e poi la sorella Vanessa con il marito Clive Bell, e ancora Desmond e Molly MacCarthy, John Maynard Keynes, Edward Morgan Forster, Roger Fry, Duncan Grant, Lytton Strachey. Nell’ambito di questi incontri, venivano lette ad alta voce delle “memorie”, e quattro furono quelle di Virginia Woolf, che vengono raccolte integralmente per la prima volta in questo volume. Sono testi di grande fascino, che ci offrono l’immagine viva di quell’epoca e di quel gruppo inimitabile di amici, permettendoci anche di gustare ancora una volta la grandezza della Woolf saggista e memorialista. Queste quattro “memorie” della Woolf coprono un arco di tempo che va dal 1921 al 1940; se le prime due, “22 Hyde Park Gate” e “Vecchio Bloomsbury”, sono bellissimi affreschi della vita della famiglia Stephen (questo il cognome di Virginia prima delle nozze con Leonard Woolf) – con il passaggio dalla casa natale in Hyde Park Gate al quartiere di Bloomsbury – la terza e la quarta hanno carattere differente: “Sono una snob?” è l’autoironica riflessione sulla natura dello snobismo, un’altra chiave per leggere l’ambiente del Bloomsbury Group; mentre “La beffa della Dreadnought”, qui per la prima volta tradotta in italiano, è la divertentissima ricostruzione dell’incredibile scherzo giocato da un gruppo di amici (tra i quali la stessa Virginia) ai danni della Royal Navy britannica. Ma anche in questo caso, come scrive Federico Mazzocchi nella prefazione, «Virginia Woolf non ci mostra soltanto le peripezie dello scherzo, ma anche le reazioni di parenti e conoscenti, facendoci tornare a quel clima di scandalo e sbigottimento che permeava il Vecchio Bloomsbury».

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IL PADIGLIONE CINESE

Eduard von Keyserling

Dopo aver passato la vita fra piaceri e amori illeciti, Günther von Tarniff, giovane aristocratico baltico, sposa l’amica d’infanzia Beate, anch’essa di nobile famiglia, e si stabilisce con lei nel castello di Kaltin, con l’intento di passarvi un’esistenza tranquilla. L’inatteso ritorno di Mareile, la figlia del fattore, vecchia compagna di giochi dei due coniugi e ora divenuta una bellissima e celebre cantante, getta però nello scompiglio Günther, che si innamora ricambiato della donna, iniziando con lei un’ardente relazione che pone fine ai suoi propositi. Primo titolo del fortunato filone delle Schlossgeschichten, le “storie del castello”, “Il padiglione cinese” (“Beate und Mareile”, 1903) è il romanzo che decretò la fama di Eduard von Keyserling, rientrando a buon diritto nel novero dei suoi capolavori. Anche in quest’opera, che riproponiamo nella storica traduzione di Mario Benzi – ora rivista, commentata e introdotta dal nipote Gian Mario Benzing –, von Keyserling, che Thomas Mann, Robert Walser e Hugo von Hoffmanstahl consideravano uno dei massimi scrittori del primo Novecento, riesce a restituire quel senso di decadenza percepito dalla nobiltà baltica, un’aristocrazia che alle soglie della tragedia della Prima guerra mondiale inizia a percepire l’approssimarsi della propria fine.

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SCENE DI LONDRA

Virginia Woolf

Londra è un incanto. Esco e passeggio su di un magico tappeto di foglie rossastre, e mi trovo trasportata nella bellezza, senza aver alzato un dito. Le notti sono meravigliose, con i porticati bianchi e gli ampi viali silenziosi. E la gente che entra ed esce, senza fare rumore, in tutte le direzioni, come conigli. Guardo giù per Southampton Row, bagnata come il dorso di una foca o rossa e gialla per il sole, e osservo gli omnibus che vanno e vengono e ascolto i vecchi, folli organetti. Uno di questi giorni scriverò di Londra, come raccoglie la vita delle persone e la porta con sé, senza sforzo alcuno.... Così annotava Virginia Woolf nel suo diario il 26 maggio del 1924, e sette anni più tardi iniziava a pubblicare sulla rivista "Good Housekeeping" una serie di scritti su Londra, la città in cui era nata e dove è vissuta per quasi tutta la sua vita. Queste "Scene di Londra", del resto, testimoniano nel migliore dei modi l'amore della scrittrice per la sua città; un amore peraltro non scevro da quell'acutezza ironica che i lettori di Virginia Woolf hanno imparato a conoscere e ad ammirare nei suoi romanzi. Dai Docks a Oxford Street, dalle dimore dei grandi scrittori alle più famose abbazie e cattedrali, dal centro del potere politico ai personaggi più tipici, Virginia Woolf ci offre in queste pagine il ritratto indimenticabile di una città unica e straordinaria, che non cessa mai di affascinare i suoi innumerevoli visitatori.

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I SALOTTI DI PARIGI

Marcel Proust

La vocazione letteraria di Marcel ; Proust (Parigi, 1871-1922) si è orientata e precisata a contatto con il mondo di signore e signori dell’alta società parigina che poté a lungo frequentare, quello stesso mondo che sarebbe arrivato a fornirgli personaggi, ambienti e storie dello straordinario ciclo romanzesco della Recherche. Questo volume riunisce tutti gli scritti dedicati ai salotti letterari di cui Proust – cronista mondano per «Le Figaro» – è stato uno dei protagonisti; al punto che André Gide, che avvertì sempre il rimorso di avere rifiutato la pubblicazione per la «Nouvelle Revue Française» del primo volume della Recherche, arriverà a scrivergli scusandosi: «Per me eravate rimasto quello che frequentava le signore X e Z… Vi credevo uno snob, un mondano dilettante». D’altra parte, se è vero che da questi resoconti giornalistici allo stile maturo della Recherche il salto è indubbiamente grande, non mancano già qui alcuni dei motivi che hanno fatto di Proust uno dei più grandi scrittori francesi di ogni tempo. Inoltre, le colorite descrizioni delle stanze, dei rituali e degli avventori di quel mondo affascinante e impenetrabile, le cui figure di spicco sono i membri della nobiltà parigina e i dandy della capitale francese – tra cui l’amico Robert de Montesquiou, di cui riportiamo in fondo al volume il bellissimo ritratto a tutto tondo –, conservano un valore anche documentario, a testimonianza di un mondo oggi quasi inverosimile, certamente irripetibile, che di lì a non molto sarebbe stato spazzato via dalla Prima guerra mondiale.  

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ANCORA VENTICINQUE ESTATI

Stephan Schafer

«Ero diventato una di quelle persone che mettono al centro della propria esistenza professione, riconoscimento e guadagno. Non volevo quello che avevo, volevo quello che non avevo. Poi qualcuno mi ha aperto gli occhi». Travolti dagli impegni, dagli obblighi, non ci fermiamo mai a domandarci: quanta vita ci resta? Quante estati abbiamo ancora davanti? La storia di un incontro inatteso e rivelatorio tra un manager che conosce solo il lavoro e un contadino. Il racconto toccante di un’amicizia che è anche un’iniziazione. Il protagonista di questo libro è un uomo che si è consacrato alla carriera e al successo. È nervoso, schiacciato dai doveri, il suo unico sfogo è correre. Finché durante un week end in campagna, non decide di fare una cosa che non aveva mai fatto prima: tuffarsi nel lago non lontano da casa, accanto al quale è passato decine di volte. È qui che incontra Karl, un coltivatore di patate. Con le sue parole, il suo esempio e la sua saggezza, Karl gli insegna a prendersi del tempo per sé, ad ascoltarsi e a ritagliarsi piccoli momenti di gioia in una quotidianità che altrimenti sarebbe solo sopravvivenza. Caldo, profondo, meditativo, “Ancora venticinque estati” è un lungo, coraggioso viaggio nei grandi interrogativi dell’esistenza e sulle cose che dovrebbero contare davvero per gli esseri umani.

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IL RITRATTO

Edith Wharton

Il secondo volume delle Storie di New York offre un ulteriore esempio del complesso rapporto di Edith Wharton con la sua città natale. La grande scrittrice americana lasciò New York nel 1907 per l'Europa, ove avrebbe in seguito vissuto a lungo, sempre conservando però un profondo legame con la città della sua giovinezza, fonte principale della sua ispirazione e dei suoi personaggi. Ma accanto alla descrizione dei balli delle debuttanti, delle splendide case sulla Fifth Avenue, di una società ove ancora aveva valore il riservato stile di vita della élite della vecchia New York, si affacciano nella narrazione della Wharton anche nuove classi sociali che con il tempo si affermeranno modificando definitivamente la cultura della città. Così, tra i tanti racconti dedicati alla upper class della vecchia e nuova New York inizia ad apparire, in particolare in questo volume, anche una nuova e più umile borghesia, e figure di sconfitti, come nel racconto qui compreso "II panorama di Mrs. Manstey".

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JAMES JOYCE

Edna O'Brien

James Joyce, «il suo nome veniva dal latino e significava gioia, ma a volte anche lui dovette pensare che volesse dire il contrario: un ingenuo gesuita sdegnoso del corpo terreno di Cristo, un farfallone, un fastoso fratello cristiano», bardo e cantante, scrittore magnifico. Uomo dai gusti dissipati e dalle contraddizioni madornali, terrorizzato dai cani e dai tuoni ma capace di incutere paura e soggezione in quelli che incontrava, passava il tempo a maledire la società e la Chiesa che pure in qualche modo non poteva abbandonare mai davvero. Il bacio con la lingua di una prostituta, l'Ostia sulla lingua e la tenerezza della madre sarebbero sempre stati i tre simboli intenti a contendersi la sua anima. Edna O'Brien ricostruisce la vita di uno dei giganti letterari del Novecento, restituendogli, con la sua inconfondibile attenzione ai dettagli minuscoli che sempre rivelano le cose piú importanti, una dimensione piú accessibile, teneramente e meschinamente umana. A partire dall'infanzia, dai personaggi e dalle strade che la memoria rievocherà in Gente di Dublino, dalle tante case cambiate, dalla miseria sempre incombente, dal rapporto conflittuale con una madre odiata e amata e un padre umorale e violento ma cosí simile nel peccato. E poi la rottura con la religione, lui che tutti da bambino vedevano già prete, la gioventú turbolenta, i bordelli, che finiranno idealizzati nelle lunghe pagine dell'Ulisse, il periodo da bohémien a Parigi e il ritorno in Irlanda. E ancora la nascita dell'amore con Nora, compagna e moglie fino alla fine, il periodo triestino, la fama e le polemiche letterarie. La biografia di una vita smisurata che si intreccia con una produzione letteraria altrettanto sfrenata e irriducibile a qualsiasi vincolo formale.

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DIMMI DA QUANTO È PARTITO IL TRENO

James Baldwin

New York, 1960. Leo Proudhammer, celebre attore nero di cinema e teatro, è colpito in scena da un attacco cardiaco che lo getta all'improvviso in un'isola di stasi e silenzio. Stravolto, indebolito, è come se i particolari della sua vita si scomponessero davanti ai suoi occhi costringendolo a riconsiderare tutto ciò che si è lasciato alle spalle. A letto, lontano dalla vita frenetica degli ultimi anni, Leo ricorda i momenti cruciali della sua esistenza, dall'infanzia ad Harlem ai tentativi di dare forma e sostanza al talento per la recitazione, la vita senza mezzi, i rifiuti e le umiliazioni legati al colore della pelle, a un destino che sembrava per lui assegnato dalla nascita. Passato e presente si intrecciano, i ricordi della vita familiare, il rapporto lacerato con il padre e la madre, la tristezza e l'allegria, la ricerca spasmodica di un amore, la relazione di una vita con Barbara, l'amica bianca che sarà sua compagna nei successi e nei crolli, la passione per Christopher, il conflitto con l'adorato fratello Caleb fino a quando la fede non li separerà. In questo romanzo poco conosciuto, qui tradotto integralmente, James Baldwin ci invita a un viaggio ipnotico in un'atmosfera che oscilla dalla Recherche a C'era una volta in America.

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SOVVERTIMENTO DEI SENSI

Stefan Zweig

Dopo aver ricevuto da studenti e colleghi una miscellanea di scritti in suo onore, a festeggiamento dei suoi sessanta anni di carriera universitaria, un professore si accorge che nella parte dedicata alla sua biografia manca qualcosa che ha invece rappresentato la più significativa e determinante esperienza emotiva e sentimentale dell'intera sua vita: l'incontro con il suo professore di letteratura inglese da cui era rimasto intellettualmente sedotto. Rivive così l'altalenante rapporto di tenerezza e repulsione con il suo maestro, che l'aveva profondamente angosciato, avviandolo dolorosamente verso la vita adulta. Come spesso nelle opere di Stefan Zweig, è un elemento imprevedibile e incontrollabile - appunto un sovvertimento dei sensi - a turbare in un attimo le zone più oscure della coscienza e a sconvolgere così tutta una vita. Questo breve, romanzo del 1927, affronta, con la consueta finezza psicologica dell'autore, le ossessioni e i sensi di colpa, i desideri inconfessati e i conflitti interiori dei personaggi, offrendoci una rappresentazione della passione come forza oscura e irreprimibile.

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QUANDO FUORI È BUIO

Flavio Nuccitelli

Cosa succede quando ci si rende conto che siamo degli adulti molto diversi da quelli che sognavamo di essere? È più faticoso accettare il fallimento delle nostre ambizioni, perché la vita è una cosa che ci accade per caso, o trovare la forza per provare a ricominciare da capo? A Roma, primo ventennio del nuovo millennio, si intrecciano le vite di Filippo, Giulia, Michele e Chiara che all'alba dei trent'anni si trovano tutti, ognuno a suo modo, intrappolati nella propria insoddisfazione. Filippo vive un'esistenza monotona, alienato dal lavoro in una grande azienda e dalla sua relazione con Giulia, piena di silenzi e incomprensioni. A volte, la notte, si concede fantasie che alla luce del giorno non farebbe mai. Giulia, segretaria in uno studio legale, dalla vita ha ottenuto tutto quello che da ragazza desiderava, eppure il confronto con i profili social delle sue amiche d'infanzia alimenta un senso di vuoto che la fa sentire invisibile. Michele, che vive nello stesso palazzo di Filippo e Giulia, trascorre le sue giornate in un torpore esistenziale, cercando un modo per sentirsi finalmente parte di qualcosa. Intanto, Chiara, migliore amica di Michele e dottoranda universitaria, lotta contro l'accademia che la sfrutta senza riconoscerne il valore; l'unica cosa che sembra davvero riuscirle bene è una vita da fuori sede nella sua città. Una sera, per caso, i loro destini si intrecciano, dando una svolta imprevista alle loro esistenze e innescando una dinamica che li porterà, finalmente, a cambiare per sempre. Dopo Frenesia, Flavio Nuccitelli torna al romanzo per raccontare una generazione in transito, quella dei trentenni alle prese con la fine (forse) dei propri sogni e incapace di decidere dei propri desideri. Un libro per chi ha appena scoperto di essere adulto e per chi lo è diventato già, senza aver capito bene come.

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CRONACA NERA

Colette

Se la popolarità della grande narratrice francese Colette (1873-1954) è da tempo testimoniata dal successo internazionale della sua opera narrativa, molto meno nota e pressoché inedita in Italia è la sua attività giornalistica. Eppure Colette ha costantemente collaborato con diverse e importanti testate, spesso con articoli di costume e con recensioni teatrali e letterarie; e non sono mancate numerose e importanti incursioni nella cronaca nera e giudiziaria, in particolare come inviata a seguire due lunghi processi: quello contro l’algerina Oum-el-Hassen, tenutaria di un bordello, accusata di omicidi e di gravi sevizie nei confronti delle sue ragazze; e quello contro il tedesco Eugen Weidmann, accusato di ben sei omicidi, che sarà giustiziato a Versailles il 17 giugno 1939 (ultima esecuzione pubblica in Francia). A questi articoli se ne accompagnano altri dello stesso genere, su criminali famosi come Bonnot e la sua banda, Violette Nozière, accusata di avere avvelenato i propri genitori, Germaine Berton, celebrata dai surrealisti, i famosissimi Landru e Stavisky, la pluriomicida Marie Becker…, quasi a ricostruire una vera e propria inchiesta sul crimine in Francia nella prima metà del secolo scorso. Come scrive Maurizio Ferrara nella premessa all’intero corpus di questi articoli qui riunito, Colette «imprime al genere un tono innovativo», sia per la profonda penetrazione psicologica, sia perché sempre fedele al suo principio di vedere, senza inventare.

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LA GIUSTIZIA NON È UNA PALLOTTOLA

Fulvio Ervas

Giugno. L’intrusione nella villa di un riccone spezza la quiete sulle colline del prosecco.
L’ispettore Stucky si lascia volentieri affascinare dalla collezione di libri antichi, dal pianoforte a coda lunga e soprattutto dal signor Giustinian, imprenditore curioso e cercatore di bellezza.
Nella piana, invece, alla vigilia della mietitura, uno spaventapasseri sporco di sangue macchia di rosso un campo di grano.
È una minaccia da prendere sul serio o la goliardata di un balordo che ha preso troppo sole a Caorle?
Nel dubbio, il commissario Montini affida il caso a Stucky, per distoglierlo dal magnete della villa sui colli, dove, accanto al signor Giustinian, una giovane donna nera dalla tempra d’acciaio rilascia informazioni con il contagocce.
Tra deliziose cicchetterie di Treviso e vicine di casa sempre più intime, Stucky pian piano annusa un delitto sepolto, fiducia tradita, figli che chiedono conto di un grave silenzio.
Un giallo succoso, pieno di sole e calore umano.

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PARANOIA

Shirley Jackson

«Vivo in una vecchia casa umida con un fantasma che cammina rumorosamente in quella stanza in soffitta dove noi non siamo mai entrati (“credo” che sia murata), e la prima cosa che ho fatto quando ci siamo trasferiti qui è stato disegnare simboli magici a carboncino sulle soglie e sui davanzali delle finestre per tenere fuori i demoni, e in generale ha funzionato. In cantina crescono i funghi, e le mensole di marmo dei caminetti hanno l’inspiegabile abitudine di cadere in testa ai figli dei vicini.
«Nelle notti di plenilunio mi si può trovare in giardino a raccogliere la mandragora, che coltiviamo in piccole quantità insieme al rabarbaro e alle more. Di solito non vado pazza per quelle ricette con le erbe o le ali di pipistrello, perché non si può mai essere certi della loro riuscita; mi affido quasi completamente alla magia delle immagini e dei numeri. La mia esperienza più interessante è stata con una ragazza che mi ha offesa e in seguito è caduta nella tromba dell’ascensore e si è rotta tutte le ossa che aveva in corpo, tranne uno di cui ignoravo l’esistenza».

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IL REGISTA

Daniel Kehlmann

Los Angeles, anni trenta. Con l’avvento del nazismo il regista Georg Wilhelm Pabst lascia la Francia dove sta lavorando e si trasferisce negli Stati Uniti. È uno dei grandi maestri del cinema tedesco d’avanguardia, ha diretto le più importanti star del muto e portato al successo Greta Garbo rendendola immortale, ma in America è solo uno come tanti. Incapace di adattarsi ai meccanismi dello studio system, dopo aver girato un film che si rivela un fiasco, non vede più un futuro a Hollywood e abbandona il sole della California per tornare in Europa. Mentre fa visita alla madre in Austria, ormai annessa alla Germania, scoppia la guerra e ripartire diventa impossibile. Bloccato nel Terzo Reich, G.W. Pabst si confronta con la natura brutale del regime. Goebbels, il ministro della Propaganda a Berlino, vuole il genio del cinema, non accetta un no come risposta e fa grandi promesse. Anche se Pabst crede ancora che saprà resistere a queste avance, che non si sottometterà ad alcuna dittatura diversa da quella artistica, si è già cacciato in un guaio irrimediabile.
Arte e potere, bellezza e barbarie, Il regista mostra di cosa è capace la letteratura.
Ingegnoso e divertente, Il regista racconta la vita di un maestro del cinema, del suo patto con il diavolo e delle pericolose illusioni del grande schermo.

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LA CRISI DELLA NARRAZIONE

Byung-Chul Han

Sono il tessuto connettivo delle nostre comunità e donano senso al mondo. Ma nella società contemporanea, le narrazioni risultano effimere e inefficaci. La loro onnipresenza non è che un sintomo, e un segnale d'allarme.

Le narrazioni sono in crisi da tempo. Da bussole capaci di dare senso all'esistenza collettiva sono ormai diventate una merce come tutte le altre. Ridotte ad ancelle del capitalismo, si trasformano in storytelling e lo storytelling, ormai ubiquo, scade nella pubblicità, nel consumo di informazioni. L'accumulo di notizie ha preso, insomma, il posto delle storie. Dati e informazioni, però, frammentano il tempo, ci isolano e ci bloccano in un eterno presente, vuoto e privo di punti di riferimento. A diventare impossibile è la felicità stessa. Perché la vita, con tutti i suoi imprevisti, inciampi, tentativi ed errori, incontra la pienezza solo quando può essere condivisa e tramandata all'interno di una narrazione collettiva.

 

«Vivere è narrare. L'essere umano, in quanto animal narrans, si distingue dagli altri animali per il fatto che narrando realizza nuove forme di vita. La narrazione ha la forza del nuovo inizio. Lo storytelling, di contro, conosce solo una forma di vita, quella consumistica».
Byung-Chul Han

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L'ORO E LA PATRIA

Federico Fubini

Il 20 settembre 1943 alle quindici e trenta un manipolo di ufficiali nazisti varca la soglia di palazzo Koch, elegante sede della Banca d'Italia. Fra loro c'è il tenente colonnello delle ss Herbert Kappler, comandante dello spionaggio hitleriano. I tedeschi presentano le loro richieste al governatore Vincenzo Azzolini: vogliono l'oro della Banca d'Italia, tutto l'oro. In quel momento, nei suoi caveau, l'istituto di via Nazionale ne custodisce quasi 120 tonnellate.

Un solo uomo, all'interno della banca centrale, decide di opporsi e organizza un sofisticato inganno per impedire ai nazisti di trafugare la ricchezza degli italiani. Si chiama Niccolò Introna, è un dirigente di settantacinque anni, un fervente valdese che tiene sermoni alle comunità di fedeli nei giorni di festa. Durante il fascismo, Introna aveva combattuto in segreto la corruzione e il sistema cleptocratico attorno a Mussolini, documentando le operazioni del duce per trafugare il denaro pubblico. Un servitore dello Stato. Eppure, il suo nome, per le vicende finora mai raccontate e portate alla luce in questo libro, verrà volutamente cancellato e dimenticato.

Federico Fubini ha avuto accesso alle circa ottantamila pagine di documenti, in parte riservati, che il funzionario accumulò per tutta la vita, e ricostruisce per la prima volta, in modo inoppugnabile, l'appropriazione di denaro pubblico da parte di Mussolini e tutta la sofferta vicenda dell'oro della Banca d'Italia.

La storia di Introna, le sue lotte antifasciste, la sorda e caparbia ostilità dei suoi molti nemici trasmettono un monito che arriva con forza all'Italia di oggi.

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MANIAC

Benjamin Labotut

Quando alla fine della seconda guerra mondia­le John von Neumann concepisce il maniac – un calcolatore universale che doveva, nel­le intenzioni del suo creatore, «afferrare la scienza alla gola scatenando un potere di cal­colo illimitato» –, sono in pochi a rendersi conto che il mondo sta per cambiare per sem­pre. Perché quel congegno rivoluzionario – parto di una mente ordinatrice a un tempo cinica e visionaria, infantile e «inesorabil­mente logica» – non solo schiude dinanzi al genere umano le sterminate praterie dell’in­formatica e dell’intelligenza artificiale, ma lo conduce sull’orlo dell’estinzione, liberan­do i fantasmi della guerra termonucleare. Che «nell’anima della fisica» si fosse annidato un demone lo aveva del resto già intuito Paul Eh­renfest, sin dalla scoperta della realtà quan­tistica e delle nuove leggi che governavano l’a­tomo, prima di darsi tragicamente la morte. Sono sogni grandiosi e insieme incubi tre­mendi, quelli scaturiti dal genio di von Neu­mann, dentro i quali Labatut ci sprofonda, lasciando la parola a un coro di voci: delle grandi menti matematiche del tempo, ma anche di familiari e amici che furono testi­moni della sua inarrestabile ascesa. Ci ritro­veremo a Los Alamos, nel quartier generale di Oppenheimer, fra i «marziani unghere­si» che costruirono la prima bomba atomi­ca; e ancora a Princeton, nelle stanze dove vennero gettate le basi delle tecnologie digi­tali che oggi plasmano la nostra vita. Infine, assisteremo ipnotizzati alla sconfitta del cam­pione mondiale di go, Lee Sedol, che soc­combe di fronte allo strapotere della nuova divinità di Google, AlphaGo. Una divinità ancora ibrida e capricciosa, che sbaglia, de­lira, agisce per pura ispirazione – a cui altre seguiranno, sempre più potenti, sempre più terrificanti

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LE 12 SEDIE

Il'ja Il'f, Evgenij Petrov

Sono gli anni pittoreschi e illusori della NEP, la Nuova Politica Economica, e nella sperduta città di N una vecchia aristocratica rivela sul letto di morte al genero Ippolit di aver nascosto i gioielli di famiglia in una delle dodici sedie del salotto della loro casa padronale espropriata dai bolscevichi. Anche padre Fëdor, il prete che ha confessato la moribonda, viene a conoscenza del prezioso segreto. Comincia così per il sacerdote e per Ippolit, assistito dal formidabile "mago dell'intrigo" Ostap Bender, una ricerca all'ultimo respiro e senza esclusione di colpi, resa ancora più ardua dagli sconvolgimenti della rivoluzione che hanno sparpagliato le sedie per tutto il paese. Romanzo di avventure esilarante e scanzonato, mordace satira della realtà sovietica – dalla provincia a Mosca e dal Volga al Caucaso – inesauribile fuoco d'artificio linguistico: "Le 12 sedie", capolavoro dell'umorismo russo, torna finalmente in libreria per la prima volta nella sua versione integrale, in una nuova irresistibile traduzione.

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ADDIO

Honore de Balzac

Apparso per la prima volta nel 1830, ma rivisto dallo scrittore fino all'ultima edizione del 1846, "Addio" resta tra i racconti più affascinanti eppure meno noti di Balzac. Sullo sfondo della narrazione, ma al centro della storia, sta la celebre battaglia della Beresina (1812), nella quale la Grande Armata di Napoleone, durante la ritirata di Russia, subì gravi perdite. In seguito a quella tragica battaglia, i due giovani innamorati protagonisti del racconto, il barone Philippe de Sucy e la contessa Stéphanie de Vandières, avevano visto separarsi tragicamente i loro destini, fino a un incontro casuale anni dopo, quando ormai però la storia di quella guerra tremenda si era impossessata delle loro vite. Come scrive Maurizio Ferrara nella prefazione, «il dramma privato dei singoli personaggi si unisce qui al dramma collettivo», facendo di questo breve romanzo, e in particolare della rievocazione della battaglia della Beresina, uno dei momenti più alti nell'opera del grande scrittore francese.

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IL FASCISMO NON È MAI MORTO

Luciano Fontana

Ciclicamente rispunta una teoria autoconsolatoria che sentenzia: il fascismo è finito in un preciso giorno di 79 anni fa. Per chi abbia familiarità con i tempi lunghi della storia, questa appare però, senza eccessivo sforzo mentale, come una sciocchezza.
E basterebbe del resto la cronaca del settantennio che abbiamo alle spalle per convincersi della vacuità di una tale teoria.
Lo riprova inoltre quotidianamente la cronaca, che certo non ci rallegra: tanto più che – come un secolo fa – non si tratta di una questione solo italiana.
Del resto, tutte le principali forze politiche del Novecento, dai cattolici ai neoliberali, passando per i socialisti, vivono, uguali e diverse, e variamente denominate, nel nuovo secolo. La partita, a quanto pare, è ancora aperta.

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L'ANGELO AZZURRO

Heinrich Mann

“L’Angelo Azzurro” è il nome del locale di varietà dove si esibisce una licenziosa ballerina di cui si innamora follemente un anziano professore di liceo, odioso e dispotico, strenuo difensore dell’ordine borghese. Il professore trasforma Rosa Fröhlich, la ballerina, in una creatura quasi ultraterrena, in cerca di riscatto, come del resto lui stesso, deriso e disprezzato dai suoi alunni, che hanno persino storpiato il suo nome, Raat, facendolo diventare Unrat, vale a dire “pattume”, “immondizia”. Il romanzo è la storia della sua perdizione, e insieme uno splendido, impietoso affresco della Germania guglielmina, con la sua ipocrisia, la sua morale doppia e contraddittoria, avviata da lì a pochi anni alla catastrofe della Prima guerra mondiale. Due anni dopo il grande successo della trasposizione cinematografica che ne fece Josef von Sternberg (1930), la nuova edizione del romanzo assunse lo stesso titolo del film: non più “Il professor Unrat o la fine di un tiranno”, ma “L’Angelo Azzurro”, nel segno dell’indimenticabile Marlene Dietrich nella parte della ballerina.

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QUANDO LE DONNE UCCIDONO

Alia Trabucco Zeran

Corina Rojas, Rosa Faúndez, María Carolina Geel e María Teresa Alfaro: quattro assassine, quattro storie vere, quattro episodi scandalosi e in qualche modo romanzeschi. Quando le donne uccidono è la ricostruzione provocatoria e sfaccettata delle vite di quattro donne che, con i loro crimini e le successive vicende processuali, hanno sconvolto il Cile nel corso del Novecento. Senza mai cedere al sensazionalismo, Alia Trabucco Zerán si affida a casi di cronaca nera divenuti celebri e molto controversi per riflettere su come le donne possano essere al tempo stesso carnefici e vittime di un diverso tipo di violenza, quella che le vede ogni giorno relegate a un ruolo muto e marginale.

Un punto di vista che sfida i classici archetipi femminili dell'isterica, della strega, della femme fatale, e spinge il lettore a chiedersi: cosa accade quando, per reagire al ruolo domestico e passivo imposto dalla società, una donna arriva a perdere la propria umanità? E come reagiscono i media, il mondo dell'arte e l'establishment politico quando non è un uomo a compiere un delitto efferato?

Intrecciando alla narrazione materiale d'archivio, saggi critici e gli appunti presi durante le ricerche, l'autrice apporta al true crime un'inedita prospettiva femminista.

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PERCHÉ MORIAMO

Venki Ramakrishnan 

La consapevolezza della caducità dell’esistenza è una caratteristica esclusivamente umana, così come la capacità di elaborare strategie che affranchino dal pensiero ossessivo della morte. Quelle concepite sinora – la resurrezione, il paradiso, la reincarnazione –, tuttavia, oggi non ci bastano più, né ci basta il pensiero di continuare a vivere attraverso la nostra discendenza biologica o le opere che lasciamo dietro di noi. Resta un’unica opzione, un’idea folle che si sta trasformando in un preciso disegno: la conquista dell’immortalità grazie alla scienza. Solo nell’ultimo decennio sono apparsi più di trecentomila articoli sull’invecchiamento e l’estensione della vita, e oltre settecento aziende emergenti hanno investito complessivamente decine di miliardi di dollari nell’impresa. Ma quanto è realistico tale mirabolante sogno? Quali sarebbero le implicazioni etiche di trattamenti o manipolazioni volti ad aumentare indefinitamente la durata della vita? E quali le conseguenze sociali, economiche e politiche? Domande incalzanti, e capitali – ora che la risonanza di queste ricerche e le aspettative, spesso illusorie, da esse suscitate sono al culmine –, alle quali Ramakrishnan cerca di rispondere attraverso un’analisi approfondita della fisiologia dell’invecchiamento e delle tecniche allo studio per contrastarlo, gettando luce nel contempo sulla realizzabilità della più avveniristica delle sfide: far sì che «tutti muoiano giovani – dopo molto, molto tempo».

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BELLAGIO

Monica Savaresi

Tra le vie del piccolo borgo conosciuto come la “perla del Lario” si vocifera che Isabella Caprani, la sfuggente figlia “del Giovanni” divenuta una sceneggiatrice di successo, sia tornata per ristrutturare e vendere la casa del padre appena scomparso. Isa, che di quel posto conserva il ricordo di un’adolescenza soffocata dalla mentalità ristretta e il doloroso rapporto mai sanato con l’uomo schivo che l’ha cresciuta, vuole solo sbrigare la faccenda dell’eredità e rientrare in fretta a Roma. Ma Bellagio è un luogo in cui il passato si rifiuta di restare sepolto, un passato che lega a doppio filo Giovanni e il maestoso Grand Hotel Royal Britannia, simbolo del borgo e ora a rischio demolizione.

Lì, all’hotel ribattezzato “Bella Italia” durante gli anni del fascismo, tra balli e ospiti internazionali, intrighi politici e tensioni belliche crescenti, riecheggia un’incredibile storia d’amore a cavallo della guerra: quella di Enrico Gandola e June Rivera. Lui provinciale e di umile famiglia, lei facoltosa americana, i due si innamorano, e la loro passione dovrà superare barriere sociali e distanze oceaniche, fino allo scoppio di un conflitto che travolgerà il mondo intero e minaccerà di separarli inesorabilmente.

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BUCHI BIANCHI

Carlo Rovelli

Non lo so se l’idea che i buchi neri finiscano la loro lunga vita trasformandosi in buchi bianchi sia giusta. È il fenomeno che ho studiato in questi ultimi anni. Coinvolge la natura quantistica del tempo e dello spazio, la coesistenza di prospettive diverse, e la ragione della differenza fra passato e futuro. Esplorare questa idea è un’avventura ancora in corso. Ve la racconto come in un bollettino dal fronte. Cosa sono esattamente i buchi neri, che pullulano nell’universo. Cosa sono i buchi bianchi, i loro elusivi fratelli minori. E le domande che mi inseguono da sempre: come facciamo a capire quello che non abbiamo mai visto? Perché vogliamo sempre andare a vedere un po’ più in là...?
CARLO ROVELLI

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JAMES JOYCE

Italo Svevo

Quella tra James Joyce e Italo Svevo è stata una grande amicizia letteraria e non solo. Com’è noto, lo scrittore irlandese risiedette a lungo a Trieste dove arrivò nel 1904 e dove conobbe Italo Svevo, più vecchio di lui di una ventina d’anni, autore già a quell’epoca dei suoi due primi romanzi, “Una vita e Senilità”, passati praticamente inosservati. Quanto a Joyce, era ancora un giovanissimo scrittore in fieri, e proprio a Trieste concluse il suo esordio poetico “Musica da camera” (1907), il suo libro di racconti “Gente di Dublino” (pubblicato poi nel 1914, dopo quindici rifiuti da parte di altrettante case editrici) e il suo romanzo “Ritratto dell’artista da giovane” (1916). Italo Svevo si rese subito conto di avere davanti a sé uno scrittore eccezionale, e d’altro canto Joyce seppe immediatamente vedere in Svevo il grande scrittore «negletto» che proprio in quegli anni cominciava, in particolare anche grazie ad Eugenio Montale, a riscuotere un’attenzione che per decenni gli era stata negata. Furono poi soprattutto l’”Ulisse” (pubblicato a Parigi nel 1922) e “La coscienza di Zeno” (1923) a consolidare ulteriormente l’amicizia tra i due: sarà Joyce stesso a promuovere il capolavoro di Svevo presso alcuni dei maggiori critici francesi, mentre Svevo sarà tra i primi, in Italia e non solo, ad esaltare e a cogliere tutta l’importanza e tutta l’originalità del grande romanzo di Joyce, «perché una sola linea di una pagina dell’”Ulisse” basterebbe a rivelare da quale penna fluì». Proprio l’”Ulisse” è al centro della conferenza che Svevo dedicò a Joyce al circolo de «Il Convegno» l’8 marzo 1927 e che – dopo il fondamentale saggio introduttivo di Alessandro Gentili – apre questa nostra raccolta di scritti sveviani dedicati al grande scrittore irlandese: tra ricordo autobiografico e analisi delle opere (tra le quali fanno già capolino i primi abbozzi del Finnegans Wake), Svevo traccia una sua ammirata lettura del “fenomeno” Joyce, non rinunciando mai a quel suo tono ironico e disincantato che i suoi lettori conoscono bene. Ma anche altri scritti completano il nostro volume, e in particolare due importanti frammenti di uno studio su Joyce che doveva approfondire e ampliare i contenuti della conferenza, rimasto poi incompiuto, nonché un interessante articolo sulla “Triestinità” di James Joyce apparso su «Il Piccolo di Trieste» il 1°maggio 1926. Né poteva mancare l’intero scambio di lettere tra questi due grandi protagonisti, grazie alle quali il lettore potrà imbattersi nell’inglese di Svevo e nell’italiano, e persino nel colorato triestino, di James Joyce.

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