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IL MIO TUTTO, Chiara Zaccardi

Pagine da scoprire


Rafael Canogar: Pintura n° 27 (particolare), Museo Reina Sofia, Madrid

Vorrei che il nonno fosse qui.

Era l’unico dei miei parenti con cui avevo un buon rapporto. Lui mi incitava a disegnare, forse perché era un antiquario, o forse semplicemente perché mi voleva bene.

Cinque anni fa, poco prima dell’infarto che l’ha ucciso, ha deciso che c’era un posto che dovevo vedere. Mi ha portato a Madrid. Non ha chiesto ai miei genitori o a mio fratello di unirsi a noi, ha ignorato le proteste della mamma e ha portato me.

Visitare insieme il Palazzo Reale, il Prado e Plaza Mayor è stata un’esperienza unica. Mi parlava di storia, d’arte e di cultura non come si parla a un bambino, ma come si parla a una persona che ha davanti un futuro grandioso.

Siamo arrivati nel luogo che voleva mostrarmi, il Museo della Reina Sofia, dopo aver camminato tutto il giorno per la città.

«Nonno sono stanco» gli ho detto.

«Sai perché siamo venuti in questo posto?» mi ha chiesto.

Ho scosso la testa.

«Mi piace visitare i musei per trovare un’opera, una sola opera, che diventi mia.»

«Queste opere non le puoi comprare» ho ribattuto.

«È vero. Ma è un po’ come quando ascolti per caso le prime note di una canzone sconosciuta alla radio: non sai cosa sia, magari non riesci ancora a capirla bene, però la senti. Smetti di ascoltarla e la senti. La senti dentro di te, come se andasse a occupare un posto vuoto nel tuo animo che neanche sapevi di avere e a cui, ora che l’hai scoperto, non puoi più rinunciare. Nel tempo di un istante quella canzone diventa tua, anche se migliaia di persone la canteranno. Ecco quello che sto cercando.»

«Insomma vuoi innamorarti di un quadro a caso?»

Ha riso: «Innamorarsi è la più prorompente delle emozioni. Non succede mai per caso.»

«E credi che oggi la troverai, l’opera che diventerà tua anche se l’ha fatta qualcun altro?»

«Chi l’ha fatta sa che non sarà mai solo sua. L’arte è di tutti» mi ha posato una mano sulla spalla e ha indicato l’ingresso. «Avanti. Lasciati stupire.»

Le sale erano immense, mi parevano infinite e piene di rappresentazioni bizzarre. C’erano cose strane, lì dentro. Chi le aveva dipinte doveva essere a sua volta strano.

O forse, semplicemente, chiunque dipingesse doveva essere strano, perché quelle erano proiezioni del sé.

La maggior parte andavano al di là della mia comprensione, alcune non mi dicevano proprio niente.

Sono entrato nell’ennesima stanza, ho dato un’occhiata veloce a ciò che mi stava di fronte, poi mi sono girato verso destra per raggiungere il nonno, in un corridoio più avanti.

Speravo di riuscire a convincerlo a rientrare in albergo.

È stato allora che l’ho vista: una tela grande, da cui precipitava e poi esplodeva un ammasso di colore nei toni del nero, del grigio, del bianco.

Rafael Canogar, Pintura n° 27”, recitava la targhetta alla sua destra.

Mi sono avvicinato per osservare i dettagli della pittura densa, spessa, pesante. Sono tornato indietro e mi ci sono seduto di fronte: non riuscivo a staccare gli occhi da ciò che vedevo. Avrei voluto toccarla, avrei voluto premere la mia pelle lì sopra fino a farmi male, avrei voluto entrarci dentro.

Di colpo non mi interessava più guardare nient’altro.

Non so quanto ci sono restato davanti, a tracciare con gli occhi il movimento vivo, tormentato e cruento che avviluppava l’immagine. So solo che il nonno è stato costretto a tornare indietro dal suo giro per recuperarmi.

Mi si è seduto accanto: «L’hai trovata» ha detto. «Sembra una tempesta.»

Era quello e molto di più. Era oltre. Era uno squarcio, una caduta nel vuoto, un grido liberatorio, un tumulto in divenire.

«Sapresti esprimere perché ti piace? Di solito è difficile.»

No, era facile.

«Perché è come me.»

Ricordo di aver pensato: “Questo sono io come non mi ero mai visto”.

Non avevo idea di chi fosse Canogar, però avevo capito cosa intendesse il nonno. E avevo capito che poteva esserci uno scopo, nei miei disegni.

Avrei voluto restare. Avrei voluto poter vedere quella cosa ogni giorno. Avrei voluto riprodurre la stessa connessione.

E guardandola mi sarei placato. Avrei pensato: “Se lei è ancora qui posso esserci anch’io”.

Il nonno mi ha proposto di fare una foto per ricordarla, ma non era necessario.

Una foto non era niente. Non era lei.

Avevo trovato la mia tempesta.

©ChiaraZaccardi

(da: Il mio tutto)

 

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  • ISBN-13: 978-8869346460


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