Pagine da scoprire
“Tu sei la mia vergogna, come hai potuto? Lo sai come ci guarda adesso la gente del villaggio? Hai rovinato la vita a me e a tuo padre, ti devi vergognare...”
Maria la guardò e senza alcun timore rispose “Non voglio rivederti mai più, non tornare qui mai più. Avresti dovuto proteggermi e non l'hai mai fatto, le madri questo fanno, mi hai data via a delle persone cattive, mi hai messo nella tana dei lupi, loro mi avrebbero sbranato, vergognati tu.”
Senza aspettare alcuna risposta, domandò alla guardiana di essere riaccompagnata in cella.
Di nuovo sola si sentì sollevata per aver parlato alla madre in quel modo, le cose che le aveva detto, lei le aveva sempre pensate, ma mai aveva avuto il coraggio di dirle.
Adesso sua madre non poteva più farle niente, nemmeno suo padre, nessuno avrebbe più potuto farle del male.
Per quanto fosse assurdo, per il posto in cui si trovava Maria si sentiva per la prima volta in vita sua finalmente libera.
Il processo durò poco, il suo avvocato era molto giovane e inesperto, lei confermò la sua confessione senza dar a vedere un briciolo di pentimento, non parlò né delle botte, né della violenza subita.
La condanna arrivò dopo poche ore di camera di consiglio e la sentenza fu glaciale, l'ergastolo da scontare nella casa circondariale di Isernia, dove fu trascritto “fine pena mai”.
Dopo tanti anni trascorsi in carcere, lei non pensava più ad uscire di lì, la sua vita ormai era tra quelle quattro mura, aveva cominciato a lavorare dentro la piccola cucina del carcere, andava tutte le domeniche in chiesa e aveva un buon rapporto con tutte le altre detenute.
Dopo circa ventuno anni andò a trovarla un'assistente sociale, dicendole che sarebbe potuta uscire, ma prima di prendere in considerazione il suo caso avrebbe dovuto scrivere una lettera, dove chiedeva perdono ai parenti di chi aveva ucciso.
La stessa lettera sarebbe stata presentata al giudice di sorveglianza per una valutazione.
“Devono capire che tu ti sei pentita, se non scrivi quella lettera, non valuteranno nemmeno il tuo caso, se vuoi posso aiutarti.”
“Io non so se ho voglia di scrivere una lettera così, io non mi sono pentita, io lo rifarei.”
“Ma come puoi dirlo? Come è possibile che dopo tanti anni tu dica queste cose?”
“Tu non eri lì con me, ero picchiata e violentata da mio marito tutte le sere, e poi aveva cominciato anche suo fratello, tu avresti fatto la stessa cosa.”
“Perché non l'hai detto? Perché non ti sei difesa? Perché hai lasciato che tutti pensassero tanto male di te?”
Maria non rispose, era difficile spiegare la vergogna, i suoi genitori che l'avevano data via quasi come si fa con un animale, l'imbarazzo di tutte le botte prese senza mai aver osato ribellarsi, la disperazione.
L'assistente sociale passava a trovarla ogni sei mesi cercando di convincerla, sperando che lei cambiasse idea.
“Perché, non scrivi quella lettera? Non uscirai mai più di qui, o magari un giorno uscirai, ma quando sarai troppo vecchia.
Anche se non è vero, anche se non ti sei pentita, lo sappiamo solo tu ed io, scrivi quella lettera Maria e potrai uscire di qui.”
“Per andare dove? A Colle di Pace? No grazie, qui ormai mi sono fatta un'altra vita, non saprei che fare fuori del carcere, qui sono rispettata da tutti.”
“Ma qui ci sono solo donne.”
“È vero, qui ci sono solamente donne, quanto avrei voluto avere una sorella, o due, l'ho sempre desiderato.
Le donne si rispettano tra di loro.
Io ti ringrazio per il tuo interessamento, per quello che stai facendo per me, ma non tornare più.
Io quella lettera non la scriverò mai, uccidere quei tre bastardi è la cosa migliore che io abbia mai fatto nella mia vita.”
Non ho mai saputo quale fu la sorte di Maria, so per certo che lei quella lettera non la scrisse mai.
Una volta le chiesi se un giorno avrei potuto raccontare la sua storia e lei mi rispose “A che serve? Tu pensi che potrebbe aiutare qualche donna? Io penso che la mia sia stata una vita sbagliata, se l'unica cosa di buono che sono riuscita a fare è stato uccidere tre uomini senza mai pentirmi.”
(Tratto dal romanzo: Alza la testa)
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