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LE FINESTRE ACCESE, Dino Buzzati

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Tornavo una notte alla vecchia casa e dal fondo della strada vidi la camera illuminata. Chi poteva essere, mi chiesi, a quell’ora? Avanzavo lentamente per la via, poiché ero stanco, e pensavo allo strano lume. Era accesa la lampada centrale, lo si vedeva benissimo, nella mia stanza da letto; e, se nulla era mutato, la luce doveva arrivare fino a metà delle pareti, lasciando nella penombra gli ultimi ripiani della libreria, con i volumi rari. Oh, non dovevano essere i ladri. I ladri accendono soltanto le luci minori e certo non avrebbero alzato le persiane scorrevoli perché i vigili notturni si accorgessero della loro venuta. E poi era una notte quieta e buona, per nulla propizia alle avventure. Ma qualcuno era. Forse un amico, salito fin lassù ad aspettarmi, dopo essersi fatto aprire dalla portinaia? O dall’Oriente era tornato mio fratello e adesso sotto la familiare lampada sedeva pensieroso trovandosi in mezzo alle cose nostre, ai mobili ben conosciuti e sicuri, vicino ai libri letti con amore da entrambi, e qui egli trovava di aver scritto il suo nome a matita, qui una pagina era stracciata, dove la mano sua sette anni prima, a metà lettura, era stata colta dal sonno? O forse vegliava la mamma venuta apposta da lontano a mettere in ordine la stanza per il mio ritorno? E lei sentiva i miei passi che si facevano sempre più vicini e aveva paura di non fare in tempo, perché mancavano al letto le coperte pesanti per questa fredda stagione, il bicchiere d’acqua sul tavolino e quattro caramelle perché io, trovandole, pensassi un momento a lei? Chi mi aspettava, a un’ora così tarda, nella grande città, me che tornavo stanco e solo? Chi pensava a me, nel silenzio della casa notturna, sotto il rotondo paralume che aveva visto tanti giorni felici? Ora io ero giunto vicino e vedevo distintamente le mie due finestre. La luce le riempiva, quieta e paziente, senza oscillazioni, ad indicare che il sonno là dentro non era ancora entrato. Poi le persi di vista perché ero entrato nell’androne d’ingresso e salivo le umide scale. Frontini, Storner dentista, Andrioli, era sempre scritto sulle targhette di ottone delle porte, come se tanto tempo non fosse passato. E c’era sempre lo zerbino arrotolato al secondo pianerottolo, sempre quella bieca ragnatela al finestrone verso il cortile. Entrai nell’appartamento, trovai il silenzio, udii risuonare sordamente i miei passi, con l’inospitale eco delle case disabitate. Nella mia stanza non c’era anima viva, nessuno seduto sotto la lampada, proprio nessuno c’era ad aspettarmi, compresi che ero stato io a dimenticare accesa la luce; ero fuggito, mi ricordai, prima dell’alba, senza neppure abbassare le persiane, sulla spalliera di una sedia pendeva ancora un asciugamani che avevo gettato là all’ultimo momento, le scarpe smesse la sera prima buttate vicino al letto, portavano ancora il fango e la polvere delle ultime ore di giovinezza. Era scesa la polvere a dare un tono di solitudine, ma il resto era rimasto uguale. Povera stanza, lei non aveva dormito, con la luce in mezzo sempre accesa, chissà quante interminabili notti ad aspettare che io tornassi, e i moschini instancabili attorno alla lampadina da cento candele. Le ombre non si erano mai mosse di un millimetro negli angoli soliti, fino a che ogni mattina la luce del giorno le assorbiva. Immutato il disordine della precipitosa partenza, tutto in sospeso, niente aveva potuto riposare, da un momento all’altro io dovevo essere di ritorno, e intanto sono passati quattro anni, quattro lunghi anni della breve vita.

da: In quel preciso momento


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  • Titolo: In quel preciso momento

  • Autore: Dino Buzzati

  • Copertina flessibile: 281 pagine

  • Editore: Mondadori (19 settembre 2006)

  • Collana: Oscar scrittori moderni

  • Lingua: Italiano

  • ISBN-10: 8804561165

  • ISBN-13: 978-880456116


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