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THE BEASTS OF BUCHENWALD, Flint Whitlock

Di libri e di letture

Ilse e Karl Koch

Quando, nell’aprile del ‘45, i militari americani arrivarono a Buchenwald si trovarono di fronte a uno spettacolo agghiacciante. Com’era possibile che i nazisti avessero agito con tanta brutalità contro altri esseri umani? E com’era possibile che la popolazione avesse taciuto? Non potevano non sapere. Non avevano mai visto migliaia di prigionieri, scheletri in divisa a righe attraversare la piazza della città diretti alle cave per lavorare? La popolazione fu costretta a visitare il campo. Se non avevano voluto vedere prima, ora dovevano. Qualcuno pianse e vomitò. Altri rimasero impassibili davanti ai mucchi di cadaveri, ai forni aperti con i resti delle vittime; indifferenti davanti alla forca, alla tavola con le teste mummificate e rimpicciolite, agli organi umani, al paralume rivestito di pelle umana; impassibili dinanzi alle prove di abusi e crimini contro l’umanità commessi dai loro connazionali. E come poterono rimanere impassibili anche davanti alle baracche dei bambini? I nazisti costruirono il campo di Buchenwald nel ‘37, disboscarono un vasto territorio. Risparmiarono una quercia conosciuta come “l’albero di Goethe” sotto cui, secondo la leggenda, il grande scrittore aveva lavorato al suo capolavoro, il “Faust”. Quell’albero fu testimone silenzioso della feroce e folle malvagità umana. Dal ’37 al ’41 Karl Koch fu comandante a Buchenwald. Uomo privo di qualsiasi sentimento, immune da ogni senso di morale o umana decenza. La seconda moglie, Ilse Kölher, era ambiziosa, dissoluta, brutale, sadica. A Buchenwald entrambi diedero libero sfogo alle loro perversioni. Atti di brutalità inaudita per il puro gusto di infliggere sofferenza. Feste sontuose e orge sfrenate non bastavano, avevano bisogno del Male per provare piacere, per sentirsi potenti, per riscattarsi dalla loro mediocrità come esseri umani. Quando Koch fu sollevato dall’incarico e inviato a Madjanek, Ilse rimase a Buchenwald con i figli. Continuò a soddisfare i propri appetiti sessuali con gli ufficiali SS, o con i prigionieri, che dopo aver appagato la “cagna di Buchenwald” venivano fucilati. Arricchì la sua collezione di oggetti rivestiti in pelle umana tatuata strappata ai prigionieri. Paralumi, copertine di libri, guanti e pantofole, arazzi. Due teste mummificate, impagliate e ridotte alla grandezza di un pugno occuparono il suo tavolo come fermacarte. Nel ’43 Karl e Ilse Koch furono arrestati. Le accuse erano appropriazione indebita, falsificazione, minacce agli ufficiali e altro. Durante il processo, alla fine del 1943 a Weimar, Karl fu dichiarato colpevole. Contro Ilse non si trovarono prove sufficienti per dimostrare il suo coinvolgimento nel reato di corruzione, fu liberata. Ilse Koch lasciò Buchenwald, coi due figli, nel febbraio 1944 e si trasferì a Ludwigsburg dove risiedeva sua cognata.

Il 18 dicembre del ‘44 vi fu un secondo processo contro i Koch. Karl giurò d’essere stato ufficiale retto e onesto. Accusò il principe Waldeck di aver mentito per rovinare la sua reputazione; affermò che se c’erano irregolarità nei registri contabili il motivo era da attribuirsi alla sciatteria di chi se n’era occupato.

Nonostante i tentativi per difendersi Karl fu ritenuto colpevole. Ilse negò con forza ogni accusa contro di lei. La corte nazista condannò a morte Karl. Per sua moglie furono chiesti cinque anni di carcere per ricettazione. Inscenò un esaurimento nervoso che le valse l’assoluzione.

Il 3 aprile del ‘45 Karl fu condotto, in manette, sulla collina, dove una volta aveva governato. Fucilato dagli ufficiali SS fu bruciato nel crematorio.

Il 30 giugno del ‘45 bussarono alla porta di Ilse. Questa volta erano gli ufficiali americani. La dichiararono in arresto.

Dopo sedici mesi passati nel Lager 77, finì in cella a Dachau.

Al momento del processo, avvenuto il 12 agosto del ’47, Ilse era incinta, la condanna alla pena capitale si trasformò in ergastolo. Grazie al suo avvocato la sentenza fu ridotta a quattro anni. Liberata venne nuovamente arrestata e condannata definitivamente a vita. Il figlio che nacque durante la detenzione fu affidato ad altri. Non si sa come, il ragazzo oramai ventenne scoprì che Ilse era sua madre. La incontrò e ogni mese le fece visita. Il 2 settempre del 1967, Ilse scrisse un biglietto d’addio al figlio e si tolse la vita. “Non posso fare altrimenti, la morte è la mia salvezza”. Ilse e Karl sono stati puniti. La loro morte non ha dilavato il peccato di chi ha chiuso gli occhi, di chi ha scagliato pietre contro quelle migliaia di scheletri in divisa a righe gridando: “A morte i maiali!” quando li vedeva attraversare la piazza. Anche chi tace è colpevole. Anche chi si volta dall’altra parte commette un crimine contro l’umanità. P.S. Chissà se a qualcuno verrà in mente di tradurre la trilogia di Buchenwald di cui fa parte questo volume. Libro importante, ricco di dettagli e corredato da un centinaio di fotografie.

©Librisuldivanodeipigri

 

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  • Editore: Cable Publishing (April 19,2011)

  • ASIN: B00ILLOY3Y

  • Lingua: Inglese


Video: Civili visitano il lager di Buchenwald


 


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