Di libri e di letture
Gian Carlo Fusco sceglieva le vie meno note per descrivere il mondo e i suoi occupanti. Ne coglieva i lati meno nobili e più nascosti, le debolezze talvolta inconfessabili e le callide avidità.
Col suo tono da commedia buffa, la scrittura rapida, Fusco sollevava il manto dell’apparenza e scopriva la sostanza. Vera? Verosimile? Quel che è certo è, che la sua, è una penna felice, felicissima. E che l’Italia è rimasta quella di sempre: patria della doppiezza morale, dell’ipocrisia vestita a festa, della retorica da mercato rionale.
Bixio ha in antipatia i bersaglieri, li chiama «chicchirichì». Il 20 settembre 1870, quando le brigate Cosenz e Mazè, su ordine di Cadorna, raggiungono piazza Colonna, credono di essere i primi a entrare nell’Urbe e trasecolano sentendo le parole che gli rivolgono i popolani: «Bravi giovanotti! Siete arrivati pure voi! Ma li compagni vostri è già un pezzo che son passati! Ammappalo, come corevano! Che prescia che ci avevano! E anche quello più vecchiotto, cò li gradi sur braccio, ci aveva un fiato! che li bersajeri ci avessero le gambe bbone, se sapeva! Ma quelli parevano li puledri quanno che se scateneno pè la corsa delli barberi!». Intanto, in piazza San Pietro, il sergente Mussone e i suoi sedici bersaglieri baciapile sono in ginocchio, levando a gran voce le litanie della Madonna. Guerreri aveva informato il maggiore Pagliari d’aver udito la squadra del sergente Mussone recitare il rosario, ma Pagliari aveva riso, incredulo: «Avete preso fischi per fiaschi». «L’è nen posibile! Invece, l'era vera! Boiafaus!».
Il belga monsignor Francesco Saverio De Merode, prima di indossare l’abito talare, è stato soldato nell’esercito francese, addirittura nello stato maggiore. De Merode ha abitudini private disdicevoli, vive quasi more uxorio con una certa contessa de La Cloche, una «tettona dai capelli rossi e la bocca invereconda». La signora ha poco di nobile: dalle parti di Ajaccio ha esercitato come tenutaria di case d’appuntamento. Ma Pio IX, che vede di buon occhio il monsignore, sorvola, e lo nomina protoministro alle armi. Nonostante i pispigli del cardinale Antonelli. E sorvola anche quando De Merode, in nome di una gran passione antichista che improvvisamente lo pervade (e d’una certa lungimiranza), fa incetta di tutti i terreni liberi prossimi a Viminale, Palatino e Porta Maggiore. L’iniziativa “culturale”, verso la fine del 1866, vede impiegati circa trecento uomini al lavoro. Un vero cantiere edilizio. Con l’appoggio del principe Borghese, il monsignore dà il via alla prima grande speculazione edilizia dell’Ottocento romano. Anche questa volta, il segretario di Stato, cardinale Antonelli, pispiglia nell’orecchio del Santo Padre, che domanda: «Intendete dire che hanno animo di costruire case?». Antonelli spalanca le braccia e tace.
«Il mì Giosuè, poverino, ha consumato la gioventù curvo, giorno e notte, sui libri, senza conoscere l’amore. Così ora, quando gli capita a tiro un po’ di ciccia disposta al letto, si rifà anche di tutti gli arretrati» dice donna Elvira Carducci (nata Menicucci). E reprime il gran magone, avendo scoperto che, oltre alle varie avventure, il vate dalla barba burrascosa ha un’amante fissa: certa Carolina Piva di Verona, sposa d’un vecchio generale. La signora almeno due volte al mese si reca a Bologna. «Come se qua a Bologna non ci fossero abbastanza puttane!» grugna la sora Elvira, e si ripromette di farle la posta e mettere le carte in tavola (intenzione che mai realizzerà). «Nel ruggito della sua carne vi è il soffio di una grand’anima» scrive, in una lettera confidenziale a un’amica, la signora Piva. Il poeta tasteggia. Dammi or dunque, apollinea fiera, l’alato dorso:/Ecco, tutte le redini io ti libero al corso:/ Corriam, fiera gentil. Scomparsa la dolce Carolina, ecco la savoiarda Margherita. Il vate la trova «Bella e intelligente. Sensibilissima. Garbata e colta. Veramente regale. Splendida donna e gran dama». Ne scrive persino alla rassegnata e sospirosa sora Elvira, che un po’ si risente e un po’ si onora di cotanta règia rivale. Di regali amplessi fra i due non v’è prova; tuttavia, si sa che per meglio entrare nelle grazie della sabauda sovrana, il vate ripudia l’edera repubblicana e abbraccia lo stemma sabaudo. Estinta la sovrana, compare una giovane dalla voce cristallina e gli occhi d’un azzurro intenso. Ha scritto delle poesie, l’editore Treves è disposto a pubblicarle solo se Carducci ne scrive la prefazione. La signorina ha ventidue anni, si chiama Annie Vivanti. Il vate legge. «Perdio! Questa bimba ha ingegno!». Due mesi dopo, Lirica è nelle vetrine dei più importanti librai italiani. Nel 1891, i due visitano La Spezia. Alloggiano all’Hotel Croce di Malta. La poetica anima continua a soffiare e la carne a ruggire. Almeno da quanto racconterà, quarant’anni dopo, la cameriera che li aveva serviti al piano. «Eh! No! Perché il professore, anche se era avanti con l’età, non era mica ancora… in disarmo!».
©Librisuldivanodeipigri
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Editore: Ugo Mursia Editore (1 dicembre 2013)
Lingua: Italiano
Copertina flessibile: 104 pagine
ISBN-10: 8867590154
ISBN-13: 978-8867590155
Peso articolo: 120 g
Dimensioni: 11 x 0.66 x 18 cm
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