top of page

ANTISTORIA DEL RISORGIMENTO. DAGHELA AVANTI UN PASSO!, Luciano Bianciardi

Di libri e di letture

Rataplan!... tamburo io sento Che mi chiama alla bandiera. O che gioia, o che contento! Io vado a guerreggiar. Rataplan non ho paura Delle bombe e dei cannoni; Io vado alla ventura... Sarà poi quel che sarà.

Luciano aveva da poco imparato a leggere quando papà Atide gli regalò I mille di Giuseppe Bandi. E lui, il Lucianino, ne rimase folgorato. Lesse e rilesse fino a ricordarne molti brani a memoria. Quel volume lo accompagnò nel tempo, e il Risorgimento divenne la sua passione. Oltre a quest’opera, uscita nel 1969 col titolo Daghela avanti un passo! (ripubblicato come Antistoria del Risorgimento, col sottotitolo Daghela avanti un passo!), scriverà altri libri con tema il Risorgimento: Da Quarto a Torino, La battaglia soda, Garibaldi, Aprire il fuoco, Ai miei cari compagni.

Antistoria del Risorgimento nacque in realtà come libro per gli studenti della scuola media. Fu l’entusiasmo dell’editore a spingere Bianciardi a reinserire le parti che aveva tolto (ritenendole troppo crude per i ragazzi) e realizzare anche un’edizione per adulti.

Antistoria del Risorgimento è la storia degli anni in cui si fece l’Italia, gli anni delle insurrezioni. Anni gonfi di eventi, taluni bizzarri: come lo sciopero del fumo iniziato il giorno di Capodanno del 1848 quando, finita la messa, i milanesi presero a passeggiare senza fumare. Per le vie meneghine rimasero gli ufficiali austriaci, unici col sigaro acceso, a osservare il fatto, sbigottiti. Il motivo di questa “azione” è presto detto: sciopero del fumo come forma di protesta contro l’aumento della tassa sul tabacco. La chiamarono “dimostrazione del fumo”. Proseguì il giorno successivo. Immaginabile l’irritazione dell’erario Lombardo-Veneto per il danno economico che tale comportamento cagionava. L’azione sortì una risposta alquanto comica, e diede il via a sonori tafferugli fra cittadini milanesi e soldati austriaci. O come la ritirata dei soldati austriaci in fuga dall’enorme cilindro di fascine legate, e bagnate per evitare che s’incendiassero, che gli rotolava addosso mentre gli insorti avanzavano, ben coperti, dietro la “barricata mobile”. Atti di lotta fuori delle regole.

“Chi ignora le regole della guerra, e fa la guerra, anzi in questo caso la guerriglia, fuor delle regole, contro le regole anzi, del gioco, quasi sempre vince. È come se, durante una partita di calcio, una delle due squadre, ignorando, spregiando le regole del gioco, cominciasse a pigliare la palla con le mani. Vincerebbe. Certo, l’avversario potrebbe sempre protestare, con l’arbitro, che la vittoria è irregolare. Ma nelle guerre non ci sono arbitri che col fischietto impongano il rispetto del regolamento. La storia si è incaricata, poi, di confermarci che le cose stanno esattamente così, anche se non tutti i generali di questo mondo hanno dimostrato di capire la lezione.”

In questo Risorgimento vigoroso, vivace, esuberante, una figura svetta su tutti. Bianciardi la raffigura come “l’elemento popolare”, alla quale egli rivolge tutta la sua partigiana simpatia. Si tratta di Giuseppe Garibaldi, che dall'America “dove era corso a battersi per la libertà di altri popoli” era tornato, deciso a

“menar le mani per la libertà del suo paese, l’Italia. Il 4 di giugno si presentò al re, nel quartier generale di Roverbella: era un uomo di quarantun anni, robusto, di statura non alta (per la precisione, un metro e sessantasei), dall’aspetto piuttosto singolare: lunghi i capelli d’un biondo rossiccio, chiari gli occhi, indossava uno strano indumento, il poncho, che è poi un mantello sudamericano, cioè una coperta con un buco nel mezzo per infilarci il capo. Lo accompagnava un negro alto e membruto, tutto vestito di nero, a cavallo, armato di lancia, di nome Aguyar. Il negro non parlava l’italiano, ma l’altro sì, e con l’accento ligure. Chiedeva al re di permettergli di battersi al suo fianco, con le schiere armate dei suoi volontari. Alcuni di essi erano reduci dal Sudamerica, molti altri si erano arruolati volontariamente in Lombardia e in Liguria, armandosi e abbigliandosi come meglio capitava. C’erano non poche camicie rosse.”

Quante volte ho riletto (fra i tanti che ho trascritto) questo passo. Monito che risuona nella mente, che non dà pace. Almeno a me:

“La verità è che il Risorgimento fece l’Italia quale poi ce la siam trovata noi italiani, lacerata e divisa. Divisa fra italiani ricchi e italiani poveri. Fra italiani del Nord e italiani del Sud. Fra italiani dotti e italiani analfabeti. Tutte divisioni che oggi noialtri italiani, faticosamente, penosamente, stiamo cercando di colmare. Ma per far questo dobbiamo sapere la verità su come l’Italia fu fatta. Dobbiamo insomma studiare sul serio la storia di quel «miracolo» che fu il nostro Risorgimento.”

Caro Luciano, sapessi. Le divisioni che ieri tentaste di colmare oggi son lacerazioni profonde, il divario è sconfinato, e son cose che non si possono accettare. Sarà che non s’è imparato come l’Italia fu fatta, che non s’è studiata sul serio la Storia, sarà che siamo figli di quella rivoluzione fallita. Sarà la somma di tutto questo e altro ancora, ma qui per cambiar qualcosa servirebbe una novella rivoluzione, prima di tutto culturale. E dimmi tu come si fa a risvegliare i sogni, a riscaldare i cuori incarogniti, disseccati; come si fa a rianimarli. Non preoccuparti, che lo scoramento passa. L’incazzatura invece resta. Ma è buon segno. È incazzatura sana. Quella che serve persino a ridere. E domani torneremo a credere, ancora, nell’incanto di un nuovo Risorgimento. Ciao, Luciano. Manchi sempre.

P.S. Leggete Bianciardi. Leggetelo. Datemi retta.

©Librisuldivanodeipigri

 
  • Copertina flessibile: 244 pagine

  • Editore: Minimum Fax (13 settembre 2018)

  • Collana: Minimum classics

  • Lingua: Italiano

  • ISBN-10: 8875219680

  • ISBN-13: 978-8875219680

 

bottom of page