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GLI ANARCHICI DELLA BELLE ÉPOQUE, Giovanni Ansaldo

Di libri e di letture

Raduno di coatti e anarchici pentecoste 1913, parla il pastore Luigi Renzi

Sarà che non ho coltissimo sangue borghese che scorre nelle vene, ma rosso e umile sangue proletario, io non l’ho trovato un “gustoso viaggio nel mondo e nelle idee dell’anarchismo” e tantomeno un libro “godibilissimo” come recita la nota in quarta di copertina. Non ho trovato né il mondo né le idee dell’anarchismo, bensì irritanti etichette, che cerco di seguito, nonostante la mia poca capacità raziocinante, di commentare.

L’autore ci spiega che l’approccio dei giovani intellettuali, “di un certo livello sociale”, col pensiero anarchico rimase “letterario”. Quello “dei mezzo-intellettuali venuti dai ceti artigiani od operai” fu invece d’impatto più vigoroso. E ci spiega Ansaldo il perché:

Sul cervello di costoro le nuove idee, attuate nelle letture frettolose, hanno un effetto ben più forte che sul cervello dei figli dei borghesi, e sono essi che raccolgono la parola d'ordine di Kropotkin (“Rivolta permanente con il discorso, con lo scritto, con il pugnale, con il fucile, con la dinamite").

Ansaldo parlando dei gruppi anarchici descrive l’anarchico più o meno così: quello spagnolo se la prende col prelato, è un bombarolo che colleziona teschi e tibie clericali. Quello francese è fantasioso, dà titoli pittoreschi ai propri gruppi, di possibile estrazione piccolo borghese irritato e invidioso dell’altrui bella vita. Puzza persino di odi audaci e preferisce l’attentato alla dinamite. Infine, quello italiano, che pur subendo l’influenza dei compagni fuori porta è fatto di un altro legno, un legno più nobile. Non se la prende con la borghesia, se non in modo ridotto perché da noi la prosperità borghese è assai modesta. Allora punta in alto, punta ai grandi della terra. I re. Insomma, tutte macchiette, mezzo-intellettuali quando va bene, dei poveretti che han l’impulso ad agire più sviluppato della facoltà raziocinativa. E veniamo ai nomi: Sante Caserio, figlio di gente buona e onesta di campagna, il cui difetto più grave è quello d’avere una forte venatura di pellagra nel sangue. Penultimo di sei o sette figli, a 10 anni lavora dal fornaio. A 14 va a Milano e lì, la sua povera testa di ragazzo campagnolo prende fuoco sotto l’azione delle letture avventurose e dei discorsi infiammati nelle riunioni internazionaliste e operaie. Giovanni Passanante (il primo attentatore di Umberto I), lo sguattero di Salvia, che leggiucchia qualche cosa dell'internazionale; forse conosce il nome Carlo Cafiero,

un Erostrato da sottoscala, cui la troppa fame sofferta aveva sconvolto il cervello, fino a fargli vagheggiare la sinistra gloria dei regicidi.

Pietro Acciarito (secondo attentatore di Umberto I), fabbro ferraio, con poca voglia di lavorare,

preso nel giro di ideologie anarchiche più nette e precise del Passanante. La ricetta, da lui enunciata più volte al padre: 'per far passare la miseria bisogna fare la festa a qualche pezzo grosso', rivela la marca della sua rudimentale dottrina”. Gaetano Bresci (terzo e ultimo attentatore di Umberto I). “Nella famiglia c'era stata una spinta a elevarsi dalla condizione di contadini, a studiare, a farsi innanzi.

Un fratello diventa tenente nel 10° reggimento artiglieria.

Quanto a Gaetano, pur con tutte le sue farraginose letture di giornaletti e libercoli, dovette in gioventù sedersi al deschetto di calzolaio; e ciò non giovò alla serenità del suo carattere. [...] Il primo sedimento di ostilità sprezzante verso lo Stato italiano e la monarchia di Savoia, il Bresci lo derivo senza dubbio dall'ambiente di piccola gente pratese, in cui venne su.

Riassumendo: spagnoli bombaroli, francesi attentatori, italiani regicidi.

Ben diversi, invece, il tono e il linguaggio nella lunga parte dedicata a Giuseppe Bandi (fondatore del giornale per cui lavorava Ansaldo) e a Umberto I nel ricordo che ne ha Ansaldio bambino. Chissà poi perché.

Concludendo, questo libro “godibilissimo”, di godibile ha una sola cosa: la brevità. Ma io non sono, come era invece l’autore, nata in una colta e borghese famiglia. Appartengo a quella masnada di teste balorde, povere d’intelletto. Sarà per questo. Vive l'anarchie!

©Librisuldivanodeipigri


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  • Editore: Le Lettere (1 gennaio 2010)

  • Collana: Il salotto di Clio

  • Lingua: Italiano

  • ISBN-10: 8860872405

  • ISBN-13: 978-8860872401

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